Le opinioni

Lavoro in crescita ma anche il precariato, fragili senza welfare

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di Cesare Damiano  – Ex ministro del Lavoro, Presidente Associazione Lavoro & Welfare

Il mercato del lavoro, in Italia, sta conoscendo un momento di crescita che si può sintetizzare in un dato: il tasso di occupazione ha superato il 60%, un traguardo storico che equivale a 23 milioni di occupati.

Dalla nota Il mercato del lavoro: dati e analisi rilasciata in maggio da Ministero del Lavoro, Banca d’Italia e Anpal, si evince che «in marzo e aprile del 2023 la domanda di lavoro nel settore privato non agricolo ha continuato ad aumentare a ritmi sostenuti: nei due mesi sono stati creati oltre 100mila posti, al netto delle cessazioni, un valore simile a quello del primo bimestre e superiore sia agli andamenti medi del 2022, sia a quelli del 2019, prima della pandemia di COVID-19».

Da sottolineare, comunque, che il documento nota, ancora, che «nei primi due mesi dell’anno, la domanda di lavoro è stata trainata dai servizi e soprattutto dal turismo, dove sono stati creati poco meno di 40mila posti di lavoro, corrispondenti a circa un terzo del totale». Dato significativo per un Paese manifatturiero come il nostro nel quale, in questo momento, ristorazione e turismo danno un contributo fondamentale al Pil e, perciò, al livello dell’occupazione.

In ogni caso «a marzo e aprile la maggioranza dei posti di lavoro creati, circa il 70%, sono stati a tempo indeterminato […] Negli ultimi due mesi si è però rafforzato il ricorso al lavoro a termine, il cui saldo è più che raddoppiato nel confronto con il bimestre precedente (circa 35mila posizioni da 15mila). Su questa ripresa ha influito la forte crescita del comparto turistico, in cui i rapporti di lavoro di breve durata sono più diffusi, ma anche la maggiore propensione delle imprese ad attivare nuove posizioni a tempo determinato, dopo che molte di quelle in essere erano state trasformate in permanenti nel 2022».

Cresce dunque il lavoro stabile, ma anche quello a tempo determinato. Non si deve, comunque, dimenticare che l’occupazione si mantiene, in Italia, a livelli significativamente inferiori rispetto al resto dell’Europa.

In ogni caso, le disuguaglianze che contraddistinguono il mercato del lavoro si trascinano anche sul piano della protezione sociale, nei meandri delle misure di sostegno al reddito e dei meccanismi di accesso alla pensione. Dunque, chi è fragile nel lavoro, resta doppiamente fragile anche sul piano della protezione sociale e dell’accesso al Welfare. Posizione di debolezza acuita dalla pandemia da Covid-19 che ha colpito soprattutto settori ad alta incidenza di lavoro precario e a basso reddito, proprio come quei servizi oggi in grande crescita.

Il cuore del problema è che gli ammortizzatori sociali sono ancorati a meccanismi basati su logiche contrattuali che tendono ad escludere dalle tutele i soggetti con elevata discontinuità lavorativa e con bassi redditi. Perciò, coloro che soffrono di più l’inadeguata copertura dal sistema degli ammortizzatori sociali sono soprattutto i giovani, con carriere discontinue e reddito basso, le donne, concentrate soprattutto nel lavoro part-time, i lavoratori autonomi e occasionali.

Rispetto ai lavoratori standard la proiezione occupazionale, di reddito e contributiva di questi gruppi li pone a rischio di esclusione dai meccanismi di protezione e di welfare.

Dunque, tra tanti nodi da sciogliere, uno che può rivelarsi determinante é l’estensione del welfare complementare ai soggetti maggiormente vulnerabili. Di qui potrebbe emergere una seria risposta alla crescente necessità di prestazioni e servizi a sostegno dei lavoratori più fragili. Allargando alla sua sfera familiare le prestazioni previste dal welfare contrattuale come previdenza e sanità complementare. Direzione già presa da alcuni fondi e da vari contratti nazionali e aziendali.