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Manovra, la partita delle tasse tra spinta riformista e tutela dei conti

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Con la mano destra si dà, con la sinistra si toglie, prelevando direttamente dal conto corrente. Questa la situazione, ovviamente un po’ romanzata, della manovra di bilancio, che vive quest’anno intrecciata con la delega fiscale e la sua attuazione.

Stanno arrivando, con un ritmo meritorio, i primi decreti attuativi della delega. Al momento si annoverano i decreti sull’Irpef, che passa da 4 a tre scaglioni, sulla Minimum tax al 15%, sulla fiscalità internazionale, sullo Statuto del contribuente e sulla semplificazione degli adempimenti e siamo in attesa di quelli sulle sanzioni, la cooperative compliance e il concordato preventivo. Sull’altro fronte la manovra di Bilancio per il 2024 che, per finanziare il taglio del cuneo e la riduzione dell’Irpef e governare gli effetti del bonus del 110 per cento per l’edilizia, inasprisce tasse note o nascoste. Senza scomodare le pensioni, osservato speciale della comunità internazionale per un Paese ad alto debito, si annoverano misure volte ad innalzare le imposte sulla casa, sia lato plusvalenze, ritenute sui bonifici per il bonus casa (dall’8 all’11%), cedolare secca sugli affitti brevi (dal 21 al 26% per più di un appartamento), sia attraverso interventi settoriali, tipici delle leggi di bilancio, come il ridimensionamento del tax credit per il cinema e del fondo disabilità, il ritorno dell’Iva al 22% per i beni per l’infanzia, l’aumento delle accise.

Il corto circuito tra la spinta (necessaria) a riformare il fisco, semplificando, sfruttando la tecnologia, distendendo il rapporto tra contribuenti e pubblica amministrazione e riducendo le imposte rispetto agli oppressivi livelli dei nostri tempi e l’esigenza di salvaguardare i conti pubblici era prevedibile e forse anche previsto. La stessa legge di delega fiscale disponeva che si dovesse partire, nell’attuazione, da decreti a costo zero o che si “autofinanziassero”. Certo è che il rischio che nel complesso gli interventi sul fisco abbiano un effetto regressivo è alto. L’abbandono di misure consolidate, si pensi, per le persone fisiche, al freno per le agevolazioni sul “rientro dei cervelli”, che hanno creato un indotto importante su consumi e investimenti o, per le società, alla cancellazione dell’ACE (aiuto alla crescita economica) che favoriva la patrimonializzazione delle imprese e riduceva il costo del capitale, con un, pacifico, positivo impatto economico. Interessante e di segno contrario l’idea del reshoring, il rimpatrio agevolato delle aziende, non basta (e avrebbe peraltro fatto “sistema” con le norme sugli impatriati) ed è subordinato all’autorizzazione Ue. Certo la delega fiscale è ancora un cantiere e proprio sugli incentivi si gioca buona parte della partita rispetto agli effetti macroeconomici. È tematica da coordinare con la minimum tax internazionale, che nell’aliquota del 15% tiene in considerazione la distinzione tra incentivi buoni e incentivi cattivi. È interessante l’impegno del premier Meloni a limitare gli emendamenti della maggioranza ma ci avviciniamo comunque di nuovo ad un iter che occorre rinnovare: l’esame sarà limitato ad un solo ramo del parlamento e le misure distribuite negli ambiti più svariati, dove affiorano, appunto, tasse note e occulte.