Le opinioni

Non solo conti pubblici: attenzione a bilanci privati e stretta sulla casa

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A preoccupare non è solo la manovra di bilancio pubblico 2024, con il rischio di effetti regressivi, ma anche i bilanci delle famiglie. Peraltro, si tratta di due vasi comunicanti nella misura della salute della nostra economia, sempre forte se si ragiona sul consolidamento del debito pubblico con quello privato.

Qualcosa scricchiola però ed è bene, parafrasando Einaudi, conoscere per deliberare il da farsi.

Innanzitutto occorre tenere sott’occhio la propensione al risparmio delle famiglie, tornata a salire secondo uno studio Acri-Ipsos, ma forse più per le incertezze sul futuro (Istat). Da sempre punto di forza del Paese, ma da sempre anche difficile da canalizzare verso l’economia reale. In questa direzione va l’idea dell’esclusione dei titoli di Stato dal calcolo dell’Isee (vero è che più il debito pubblico è in mani italiane – o europee – meglio è), ma si tratta di misure minori.

Come ricordiamo da tempo immemore (per carità, ampiamente inascoltati, tanto che di “contribuente famiglia” non si riesce proprio a parlare) la fotografia della distribuzione della ricchezza del Paese non sta nelle dichiarazioni dei redditi. In settimana i nuovi dati ufficiali del Mef sulle dichiarazioni 2022, che confermano come l’Irpef in tantissimi non la pagano (47% degli italiani), in molti la pagano pochissimo (il 26% dichiara meno di 15mila euro), e pochissimi (in modo scriteriato ritenuti dei “paperoni”) pagano per tutti (il 4% dichiara più di 70mila euro e paga il 31% dell’Irpef). La foto della distribuzione della ricchezza in questi giorni si intravede invece nelle proteste per le strette su case e rendite (che in dichiarazione non si vedono).

Quella che ha fatto più parlare, complice anche la sentenza del Consiglio di Stato che conferma l’obbligo di riscossione in capo ai portali online di affitto, è l’innalzamento dal 21 al 26% dell’aliquota della cedolare secca sugli affitti brevi (inferiori ai 30 giorni) per i privati che affittano più di un appartamento (per un solo appartamento l’aliquota resta al 21%).

L’agevolazione è finalizzata, oltre che alla giusta lotta al “nero”, ad incentivare gli affitti ad uso residenziale (in attesa magari di recuperare le decine di migliaia di alloggi pubblici non sfruttati). La stretta sulla casa continua prevedendo la tassazione Irpef delle plusvalenze da cessione di immobili su cui sono state realizzate opere agevolate con il superbonus 110% se intervenute prima dei 10 anni dal termine lavori. Nel calcolo della plusvalenza le spese sostenute (solo quelle agevolate al 110% oggetto di cessione del credito o di sconto in fattura) non rilevano se l’intervento si è concluso da non più di 5 anni, mentre rilevano al 50% se concluso oltre i 5 anni. Sulla plusvalenza è sempre possibile chiedere l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 26% (eliminando ogni obbligo dichiarativo). Solo la provenienza successoria, ovvero l’aver adibito l’immobile ad abitazione principale di chi cede o dei suoi familiari per la maggior parte del periodo di possesso (o per la maggior parte dei 10 anni ante cessione) rende la plusvalenza non tassabile.

Infine dal 1° marzo 2024, la ritenuta d’acconto sui bonifici relativi “ad oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione d’imposta” salirà dall’8% all’11%, mentre dal 1° gennaio 2024, sugli immobili detenuti dagli italiani all’estero l’aliquota dell’IVIE sale dal 7,6 per mille al 10,6 per mille. Insomma, in attesa di riforme strutturali e di un focus sulle sfide vere del nostro futuro (su cui dobbiamo restare ottimisti, che l’ottimismo fa bene anche all’economia), un solito, ahinoi, fine anno tra i complicati rivoli della legge di bilancio e le preoccupazioni delle famiglie.