Le opinioni

“Poveri ma belli”: crescita non fa rima con felicità

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di Antonio Dini
(Giornalista e scrittore)

«Come va la vita?». «Ci si accontenta, grazie», rispondevano gli anziani di una volta, quelli che avevano passato crisi, guerra, boom economico e anni di piombo, tutto in una sola vita. E oggi? Secondo l’Eurobarometro, il centro di statistica europea, è la stessa musica. Come va? Benino, ci si accontenta, grazie. Siamo ottimisti, ma con moderazione.

Gli ultimi dati elaborati da Eurostat a cavallo della fine dell’anno riguardano il 2021 (poi si parla della lentezza italiana) e indicano che nell’Ue la media di soddisfazione dei cittadini è di 7,2 in una scala da 1 a 10. L’Italia è perfettamente in media, con 7,2, nel gruppone con Germania, Spagna e vari altri. Sta meglio soprattutto l’Austria (8,0) e malino la Bulgaria (5,7).

La tendenza, dal 2018, è a un leggero calo per le nazioni più ricche e a un lievissimo miglioramento per le altre. Vedremo cosa registrerà l’ufficio per la statistica della Commissione europea tra un anno, dopo che saranno stati elaborati anche i dati del periodo della guerra in Ucraina. La sensazione tuttavia è che la qualità della vita in Europa rimanga sostanzialmente stabile: non eccezionale ma neanche cattiva. Ci si accontenta, insomma.

Attenzione però, perché, nascosto sotto una tonnellata di numeri e analisi, si nasconde un pezzetto di informazione che merita invece tutta la nostra attenzione. Una delle cause per cui, soprattutto durante pandemia, abbiamo sostanzialmente tenuto, è da cercarsi proprio in questa semplice frase: «Ci si accontenta».

Ne hanno scritto in tanti, dai sociologi alla moda fino agli scienziati più sconosciuti. Prendo quanto diceva cinque anni fa Milica Maricic, una delle più giovani ricercatrici dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. La sua è una delle analisi più interessanti sui meccanismi di misurazione della qualità della vita. Secondo Maricic, infatti, se alziamo lo sguardo e usiamo degli indicatori più sofisticati che non quelli semplicemente quantitativi, vediamo chiaramente che nel Vecchio continente abbiamo imparato a fare spallucce e accettare con un po’ di fatalismo quel che succede. Pazienza se il fatturato non raddoppia, se il Pil non cresce, se la rivoluzione digitale arriva prima sui giornali e poi, solo con molta calma, anche nei consigli di amministrazione delle aziende.

Abbiamo imparato a fare un po’ da soli, a essere resilienti, a trovare un modo per andare avanti senza troppi drammi. Maricic ha approfondito i metodi di misurazione della qualità della vita di tipo oggettivo, basato su elementi quantitativi (quanto cresce il Pil? E l’inflazione?), e quelli di tipo soggettivo, che cercano di dare un peso ragionevole a fattori come la soddisfazione sul proprio lavoro, nell’uso del proprio tempo, delle proprie finanze, la fiducia nel sistema legale. Mettendo assieme in modo intelligente i due approcci, quantitativo e qualitativo, appare un profilo sorprendente del rapporto tra economia e felicità. La paradossale scoperta di questo sapersi accontentare è che la felicità non è una funzione diretta della crescita economica. Cioè che non si sta necessariamente meglio se si guadagna di più. E anzi, che non si sta necessariamente peggio se si guadagna quanto prima e persino un po’ meno (ci pensa l’inflazione a farcelo capire, dopotutto).

Ora, che la retorica della commedia all’italiana, quello di “Poveri ma belli”, avesse detto cose apparentemente simili, è risaputo. Si può essere felici anche nella povertà, lottando per la sopravvivenza (ma con ironia e leggerezza) e soprattutto cercando l’amore e la felicità in un contesto difficile. Tuttavia, quella raccontata da Dino Risi era un’altra Italia, con il viso bello e ironico di Marcello Mastroianni e le macerie dei bombardamenti ancora visibili. Invece, leggere oggi i dati delle statistiche europee ha tutto un altro sapore.

Il messaggio più profondo del sapersi accontentare è che alle persone sta passando la fame, il bisogno di vincere. Si fa largo l’idea che la vita sia una sola e che forse è meglio viverla bene, con serenità, senza gli eccessi di consumo del passato (che a questo punto abbiamo capito tutti che fanno male alla nostra salute, a quella degli animali e inquinano pure) e magari senza restare attaccati al Pc o allo smartphone sette giorni su sette.

Dopotutto, anche gli Stoici sostenevano, duemila anni fa, che la chiave per essere felici è sapersi accontentare e raggiungere un equilibrio interiore, indipendentemente dalle circostanze esterne. Tra una nuova variante virale, un colpo di inflazione e una guerra alle porte dell’Europa, saper rispondere «Ci si accontenta, grazie» è un po’ come vincere una gara del Sei nazioni. Ti fa star bene, anche se il mondo attorno non cambia più di tanto.