Le opinioni

Quei toni di grigio smarriti per sempre nello sguardo truce di The Donald

Scritto il

di Davide Ippolito
Esperto di reputazione aziendale e direttore di Reputation Research – New York

Qui Nuova York, vi parla Davide Ippolito. Vorrei iniziare così questo nuovo corso della mia rubrica, omaggiando la leggenda Rai Ruggero Orlandi, storico corrispondente estero da New York, raccontandovi il mio recente trasferimento negli Stati Uniti che coincide con il lancio del mio film “New York Solo Andata” (da Ottobre su Amazon Prime Video).

Questo primo articolo non può prescindere da quanto di storico è accaduto lo scorso 25 agosto, quando, l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha pubblicato la sua foto segnaletica su X (il nuovo nome di Twitter), dopo essersi costituito presso il carcere di Fulton County, Atlanta, accusato di numerosi reati per il suo presunto ruolo nel tentativo di sovvertire i risultati elettorali del 2020 nello stato.

Il mondo si è fermato ad osservare, ma quest’immagine rappresenta davvero un colpo mortale per la sua reputazione?

Il fatto è che mentre l’immagine ha attirato una grande attenzione mediatica, potrebbe non avere l’effetto demoralizzante che molti sperano o temono.

È vero che la foto segnaletica ha un peso simbolico. Per molti, è l’incarnazione visiva degli eccessi e delle violazioni di Trump durante la sua presidenza. Però, viviamo in un’era in cui la notorietà spesso trionfa sulla reputazione. Nel contesto polarizzato della politica americana, le linee tra ciò che è scandaloso e ciò che è semplicemente un altro evento in un ciclo di notizie interminabile sono diventate sempre più sfocate.

Non dimentichiamo che Trump è un maestro nell’arte della ribellione mediatica. Egli ha una capacità quasi unica di prendere situazioni apparentemente negative e trasformarle in combustibile per la sua base di sostenitori. Per questi elettori, la foto segnaletica potrebbe non essere una macchia sulla reputazione di Trump, piuttosto un simbolo di una figura carismatica incastrata da ciò che percepiscono come un sistema politico ostile e ingiusto. C’è una grossa fetta di americani che è tuttora convinta che le elezioni del 2020 siano state truccate.

E mentre parliamo di reputazione, chiediamoci: quale reputazione? Trump è una figura che divide come poche altre nella storia politica recente. Per i suoi detrattori, la foto conferma ciò che hanno sempre pensato; per i suoi sostenitori, è solo un’altra crociata mediatica contro il loro eroe. In altre parole, la foto segnaletica potrebbe semplicemente rafforzare le opinioni già esistenti piuttosto che cambiarle. Pensiamo solo al fatto che con la foto segnaletica Trump e il suo team sono riusciti rapidamente a monetizzare 7 milioni di dollari per la campagna elettorale attraverso la commercializzazione della foto e di gadget in cambio di donazioni.

Ecco dove il fallimento della comunicazione entra in gioco. La foto segnaletica di Trump, lontana dall’essere un segnale universale di discredito, diventa un altro simbolo polarizzante in una nazione già fortemente divisa. O la odi o la ami, come l’uomo stesso. Non c’è spazio per una discussione ponderata o per una valutazione sfumata dei fatti. È un altro elemento di un dialogo pubblico sempre più ridotto a slogan e a meme, dove la complessità è sacrificata sull’altare dell’immediatezza e della semplicità.

In questo quadro, tutto diventa un’espressione di identità politica, e non c’è più spazio per il dialogo o la comprensione reciproca. È una situazione che mette a nudo il fallimento di un certo modo di fare comunicazione, che dovrebbe servire a chiarire, informare e forse persino a unire. Invece, quello che abbiamo è una perpetua macchina da guerra mediatica, che alimenta divisioni già esistenti e ne crea di nuove e alimenta la cultura del clic e la cultura dell’IO.

In un mondo in cui tutto è o bianco o nero, perdiamo i molti toni di grigio che costituiscono la realtà nella sua complessità, e con essa, la capacità di affrontare i problemi in modo maturo e ponderato