Le opinioni

Riappropriamoci delle “cose” perché solo così ci possiamo evolvere davvero

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In molti sostengono che stiamo vivendo un periodo di passaggio epocale dal punto di vista umanitario. Come forse non c’è mai stato prima nella storia del mondo: la pervasività del Grande Fratello tecnologico sta infatti portando, in tutti i campi, da quello bellico, a quello sanitario, a quello ecologico, fino a quello sociale a cambiamenti sostanziali e stridenti nel nostro quotidiano stile di vita.

E questo stridore lo si avverte nelle laceranti e dicotomiche relazioni umane che si stanno imponendo in tutto il Pianeta, in modo prepotente e tragico.

La tecnologia pervasiva, quella dell’onnipresente Intelligenza Artificiale, ha portato le informazioni a prendere il posto delle cose materiali.

Come sostiene anche il filosofo coreano Byung-Chul Han (“Le Non Cose” – Edizioni Einaudi), si giunge così a “un’economia dell’esperienza” che sostituisce “l’economia delle cose”. Cosa si intende per “economia dell’esperienza”? Si tratta della conoscenza diretta che avviene attraverso l’informazione, la comunicazione, lo “storytelling”, piuttosto che mediante l’uso di un prodotto o di un oggetto materiale.

Questo, viene prima valutato infatti per il suo aspetto estetico, per il “racconto” che si porta dietro, e solo successivamente per la sua effettiva bontà di utilizzo, che comunque nel giudizio è sempre figlia – almeno in parte – di un vissuto costruito dai professionisti della comunicazione.

Dobbiamo invece riappropriarci dell’economia delle cose, perché è attraverso il manufatto, mediante la tridimensionalità dell’oggetto, per mezzo della sua tangibilità che ci evolviamo, a partire dal momento in cui veniamo al mondo. L’oggetto “si racconta”: questa storia è, per esempio, dietro un semplice piatto, dentro un libro, in un soprammobile in grado di narrare nel corso del tempo il vissuto di persone e intere famiglie.

Perché perdere il patrimonio antropologico che interpreta l’oggetto nella testimonianza dell’inesorabile trascorrere e fluire del tempo che si trasforma, quasi sempre, nella dolce e romantica malinconia del ricordo? Si tratta di un patrimonio imperdibile che invece, con l’eccesso invasivo e inarrestabile delle informazioni digitali, non tangibili, stiamo purtroppo smarrendo.

L’oggetto conserva una sua innata etica materiale, mentre la sovrabbondanza di informazioni digitali e la sostituzione del “virtuale” al tangibile concorre alla perdita morale, alla sovrapposizione del “manipolante” al pensiero, figlio libertario dei sensi umani.

L’economia dell’esperienza, invece, si basa sempre su una “falsa esperienza”, perché “indotta”, indiretta e non basata sugli organi di senso, quanto piuttosto sull’immaginario e sull’intangibilità che ci arriva attraverso un vissuto che non sempre ci è proprio, spesso imposto da terzi che manipolano la realtà, magari mediante l’uso improprio e invasivo dell’Intelligenza Artificiale. Viene così messo in discussione il concetto stesso di Verità che perdiamo di vista, dato che non si basa più sulla tridimensionalità dell’esperienza di consumo, quanto sulla promessa di una intangibile qualità che facciamo sempre più fatica a percepire.

Dobbiamo quindi rinunciare al concetto stesso di Verità e al suo valore intrinseco? Ovviamente no e in modo più assoluto!

La battaglia risiede nel recupero e consolidamento di un profondo cambiamento culturale e spirituale della razza umana, senza il quale tutto sarà vano. Dobbiamo contribuire tutti insieme, nella nostra quotidianità, a ritornare a un’economia delle cose che possa anche essere economia dell’esperienza, ma solo grazie al contatto diretto, e quindi “umano” con ciò che ci circonda.