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Rientro cervelli e flussi migratori, corto circuito che toglie nuovo gettito

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L’Italia vive un inverno demografico senza precedenti, con nascite nel 2022 sotto quota 400mila per la prima volta dal dopoguerra, una emigrazione costante di giovani (1 milione le persone che hanno lasciato l’Italia nel decennio 2011-2021) e una popolazione con una età media di 48 anni (la più alta d’Europa). Rispetto a questo, il fisco può fare poco, è solo una componente di un sistema Paese che in primis deve migliorare la tutela della famiglia, l’offerta scolastica e formativa, le infrastrutture e la sicurezza dei cittadini.

Tuttavia, se togliamo o ridimensioniamo, come la riforma fiscale si propone di fare, anche le poche norme agevolative sul rientro delle persone, ovvero il cosiddetto regime degli impatriati, sicuramente non aiutiamo l’inversione di tendenza. Né può fungere da “compensazione” la proposta relativa all’agevolazione per il rientro delle società (il cosiddetto reshoring), che invero avrebbe potuto fare “sistema” con le norme sugli impatriati e che comunque è soggetta alla autorizzazione Ue.

L’ultimo a insorgere è stato il mondo dello sport, con dichiarazioni durissime di alcuni presidenti di squadre di calcio che denunciano come l’addio alle agevolazioni fiscali metta a rischio la sostenibilità finanziaria delle squadre, in un mondo già caratterizzato da perdite per oltre 3 miliardi e debiti oltre i 5 (più dell’intero fatturato del sistema calcio).

Ma vediamo cosa sta accadendo. Uno degli schemi di decreto attuativi della delega fiscale, in via di approvazione, prevede l’abrogazione con effetto dal 1° gennaio 2024 delle attuali agevolazioni per gli impatriati. Fanno eccezione i soggetti che si trasferiscono prima del 31 dicembre 2023, che mantengono il vecchio regime (e infatti stiamo vivendo una corsa alle registrazioni all’anagrafe dei Comuni).

Il decreto non prevede il totale abbandono della misura ma un fortissimo ridimensionamento, innanzitutto sotto il profilo soggettivo, perché il regime viene di fatto limitato a soggetti altamente qualificati, tipo docenti e ricercatori.  A partire dal 1° gennaio 2024, per tali soggetti i redditi di lavoro dipendente e assimilati e quelli di lavoro autonomo non concorrono alla formazione del reddito per il 50 per cento del loro ammontare (quindi non più per il 70) ed entro il limite di 600mila euro. Inoltre, i lavoratori non devono essere stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti al trasferimento e si devono impegnare a risiedere fiscalmente nel territorio dello Stato per almeno cinque anni. Il beneficio, poi, spetta solo se si cambia datore di lavoro (quindi non rilevano trasferimenti all’interno dello stesso gruppo) e, come si diceva, a patto che i lavoratori siano in possesso dei requisiti di elevata qualificazione e specializzazione previsti dalla legge.

Le agevolazioni sul rientro in Italia rappresentano norme consolidate e accettate da molti anni e prima di questo revirement, che auspichiamo non venga confermato, hanno solo subìto interventi migliorativi. C’è chi sostiene che si tratti di norme discriminatorie perché agevolano solo alcune categorie di persone, ma nell’inferno fiscale italiano di bonus e prebende tra i tanti utilizzi extrafiscali delle imposte questi proprio non si comprende perché debbano essere toccati. Pacifico infatti l’indotto che questa comunità ha portato e porta in termini di consumi e investimenti, con intere famiglie che si trasferiscono in Italia, comprano casa e più in generale spendono (pagando così tasse di varia natura, per inciso).