Le opinioni

Tasse, il bestiario fiscale che nessuno riesce a eliminare

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di Giuseppe Pizzonia – Docente di diritto tributario

In principio furono “Le cento tasse degli italiani”, fortunato libro pubblicato nel 1986 da Giulio Tremonti e Giuseppe Vitaletti, che ebbe il merito di richiamare l’attenzione, con un titolo efficace e una scrittura brillante, sui difetti del sistema fiscale, alcuni dei quali ancora in essere.

Il numero cento, più che un conteggio preciso, rappresentava per iperbole l’immagine di un fisco ingolfato e non adeguato ai primi segni dei cambiamenti in arrivo negli anni a seguire (caduta del Muro, Cina nella WTO, internazionalizzazione dell’economia, nuove tecnologie, globalizzazione). Il Re Fisco era improvvisamente nudo: posto che il 97% del gettito era assicurato da soli sedici tributi (su cento e più!), il resto veniva da un «incredibile bestiario fiscale» fatto da tante figure minori con adempimenti onerosi e inefficiente assorbimento di risorse amministrative.

Nel 1994, con il Libro Bianco sulla riforma fiscale, veniva proposta l’istituzione di un tributo unico sui beni e servizi, accorpando e semplificando i tributi minori più rilevanti. Per il resto occorreva semplificare la vita ai contribuenti, tagliando i rami secchi e inefficienti. Ripetuti i tentativi – promessi, ma non sempre riusciti – di eliminare prelievi più o meno pittoreschi, come la tassa sui frigoriferi, o la tassa per l’attribuzione della partita Iva (cioè, una tassa per pagare una imposta!) fortunatamente soppressa, così come la tassa sui fuoristrada, prelievo etico per colpire la volgare opulenza. In altri casi, il prelievo rimaneva, ma passava agli enti locali.

Mini e micro-tasse per tutti i gusti, sulle sale da ballo e le stazioni di fecondazione equina; su reperti archeologici come i juke box, e addirittura – nella Milano da bere – sui cerca-persone, distinguendo tra quelli mono e bitonali, e poi ancora la tassa per l’esposizione di persone, animali, gabinetti ottici e altre rarità, solo per fare qualche esempio. Un florilegio di creatività fiscali stratificate nel tempo, destinate ad alimentare, oltre al disagio dei contribuenti, più il folklore che il gettito. L’elenco potrebbe poi continuare, con reperti ancora in vigore, come la tassa sugli abbonamenti per i cellulari, facilmente aggirabile con le ricariche automatiche, il contributo di sbarco nelle isole minori, o la tassa sull’ombra dei ponti. Non mancano poi esempi più macabri, oltre che odiosi, in materia di tumuli, lumini e cremazioni.

Anche il nuovo disegno di legge di riforma fiscale ha previsto tra i principi generali la semplificazione e l’accorpamento dei tributi minori, oltre all’eliminazione dei micro-tributi che presentano costi elevati per i contribuenti a fronte di un gettito trascurabile. Non c’è un ancora elenco definitivo, ma qualche ipotesi è stata formulata in sede parlamentare.

Dovrebbero essere destinati all’eliminazione il superbollo sulle auto potenti, le tasse di laurea e di pubblico insegnamento, l’imposta sugli intrattenimenti, la maggiorazione del tributo sui rifiuti, la tassa di abilitazione all’esercizio professionale, l’addizionale regionale sui canoni delle utenze di acque pubbliche, i diritti di licenza sulle accise, l’imposta sui voli degli aerotaxi e sugli aeromobili privati, la tassa sulle emissioni di anidride solforosa e ossidi di azoto e l’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili civili. Costo stimato: 152 milioni. Sicuramente un obiettivo condivisibile e raggiungibile. Dobbiamo solo auspicare che possa essere presto realizzato, meglio ancora se rafforzato.