Le opinioni

Tasse, inflazione, immigrazione: cosa ci insegna il voto americano

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di Antonio Tomassini
(Professore di diritto tributario, Partner DLA Piper Studio Legale)

L’attesa onda rossa repubblicana alle elezioni di Mid term negli Stati Uniti non c’è stata, il presidente democratico Joe Biden mantiene il controllo del Senato e pareggia il risultato ottenuto dai repubblicani alla Camera, peraltro tutt’altro che netto.

L’esito ha una grande rilevanza sia sul fronte della politica interna sia su quella estera, anche riguardo al sempre divisivo tema delle tasse, che si unisce alle tante questioni che animano il dibattito d’oltreoceano, dall’inflazione all’immigrazione, alle armi, alla transizione energetica. Tematiche che ritroviamo pure da noi, che manteniamo un legame sempre forte con gli Stati Uniti.

Venendo al fisco, Biden in questi primi anni di governo ha decisamente invertito la rotta rispetto alla riforma fiscale Trump, nonostante le modifiche annunciate abbiano fatto fatica a trovare la via dell’implementazione. Il Congresso dovrà raggiungere a breve un accordo sulla spesa pubblica per l’esercizio 2023 e ciò risveglia l’attenzione sulle misure fiscali.

In particolare, il grande tema d’oltreoceano è l’attuazione dell’Inflaction reduction Act approvato in agosto, ovvero il maxi-intervento da 370 miliardi di dollari che più che sull’inflazione, invero, si focalizza su clima e transizione energetica prevedendo tutta una serie di incentivi, dai crediti di imposta per i produttori americani di auto elettriche, agli incentivi per l’efficientamento energetico degli edifici e per le attività di ricerca e sviluppo.

Si tratta di un’iniezione nell’economia senza precedenti che preoccupa l’Europa, visto che è fortemente incentrata sulle aziende che decidono di produrre e concentrare i propri investimenti negli Stati Uniti. Una vittoria repubblicana, invece, avrebbe probabilmente comportato il tentativo di rendere permanenti le riduzioni di imposte adottate con il Tax Cuts and Jobs Act del 2017 del governo Trump, destinate a scadere nel 2025. L’affermazione dei democratici sembra infatti sterilizzare questa eventualità e andare nella direzione già tracciata dell’aumento dell’aliquota dell’imposta sulle società al 28 per cento (dal 21 per cento introdotto dall’amministrazione Trump) e della stretta anche sulla tassazione degli individui.

Del resto, l’Inflation Reduction Act dovrà essere finanziato anche da maggiori imposte. Inoltre, occorrerà valutare se il risultato delle Mid term impatterà sulla politica fiscale dei singoli Stati. Discussioni particolarmente vive sono in corso in California e Massachusetts, dove si parla di aumenti di imposte e tassazione patrimoniale.

Infine, la questione di maggior impatto per l’Europa e il resto del mondo, ovvero la posizione degli Stati Uniti rispetto al tentativo di riforma della fiscalità internazionale.

Segnatamente il pensiero corre all’introduzione della Global minimum tax del 15 per cento, che sarebbe destinata a spostare gli equilibri su scala planetaria, posto che si tratterebbe di un’imposta che si paga a prescindere da dove i gruppi stabiliscono le loro sedi. Una vittoria repubblicana avrebbe verosimilmente rallentato questa già tortuosa strada per la riscrittura di regole che andranno a impattare sulle aziende a vocazione internazionale di tutto il mondo. I repubblicani sono infatti storicamente ostili ai cosiddetti due Pilastri Ocse ideati per contrastare l’erosione delle basi imponibili attuata spostando ricavi in Paesi con una tassazione di favore. È evidente che ancora oggi gli Stati Uniti sono il Paese di elezione della maggior parte delle grandi multinazionali che sarebbero toccate dalla riforma; una mancata adesione da parte degli Stati Uniti stessi metterebbe fortemente a rischio i piani dell’Ocse.

Sulla Global minimum tax c’è inoltre una proposta di direttiva europea e un’attenzione altissima da parte di tutti gli Stati. Vedremo se ora l’amministrazione Biden darà un segnale, al momento la legislazione americana e soprattutto le norme antielusive interne (il cosiddetto GILTI, Global Intangible Low-Taxed Income) sono incompatibili con la minimum tax, quindi c’è ancora molto lavoro da fare.