Le opinioni

Un errore accomunare politiche per il lavoro e reddito di cittadinanza

Scritto il

di Luigi De Magistris
(Politico e scrittore)

Il Governo ha scelto il 1° maggio, festa dei lavoratori, per cancellare definitivamente il reddito di cittadinanza e introdurre l’assegno di inclusione. Sarà prevista una somma di 500 euro per chi non può lavorare e uno strumento di attivazione di 350 euro per i cosiddetti occupabili.

La scelta del Governo di colpire le fasce più deboli e povere avrà delle ricadute sociali molto pesanti soprattutto nel Mezzogiorno.

Il reddito di cittadinanza, misura sicuramente migliorabile, ha garantito dignità a persone che senza lavoro non avevano più possibilità di arrivare alla fine del mese. È stato un reddito che ha ridato ossigeno e cancellato pesanti umiliazioni. Ai poveri il Governo darà 500 euro: con il caro vita, il caro bollette e l’inflazione alta chi può, con onestà intellettuale, affermare che 500 euro servono per poter vivere senza invece rimanere di fatto povero? Poi invece 350 euro per gli occupabili: se si è senza lavoro non per propria responsabilità come si può vivere con 350 euro? Altra questione è invece chi deliberatamente rifiuta un lavoro dignitoso e quindi sceglie di non voler lavorare pur con una proposta di un salario onesto, non certo prestazioni in nero. Sarebbe a questo punto cosa buona e giusta se si introducesse il salario minimo di dieci euro l’ora così da smascherare anche le incapacità del sindacato di saper tutelare sempre lavoratrici e lavoratori.

Al Sud, in particolare, dove il lavoro è più difficile da trovare e anche lo sfruttamento è pratica non rara, il reddito di cittadinanza è servito anche come elemento di coesione sociale che ha affievolito le disuguaglianze economiche. Certo non un mezzo risolutivo, ma utile senza dubbio. E sbaglia chi accomuna reddito di cittadinanza con politiche del lavoro. Sono due campi di azione differenti.

La fine del reddito porterà inevitabilmente, soprattutto al Sud, a un aumento della rabbia e del conflitto sociale, con il rischio di dover affrontare in termini di ordine e sicurezza pubblica questioni invece di natura sociale ed economica.

Il Governo ha fatto una scelta legittima, ma non obbligata. Sceglie di non ridurre le disuguaglianze, di accrescere divari economici e territoriali, di gettare quindi benzina sul fuoco. Stop al reddito di cittadinanza, salari e pensioni che non reggono rispetto al cartello della spesa, caro bollette sempre più pesante.

Cui prodest? Avremo più poveri, più criminalità, più rabbia, più sfiducia.

Perché le destre al governo, che pur sono state votate anche da fasce popolari, non hanno provato anche simbolicamente a ridistribuire ricchezza?  Invece di colpire l’ignobile livello di evasione hanno addirittura previsto di fatto dei condoni.

Perché non hanno adottato una decretazione d’urgenza per colpire gli extraprofitti di colossi economici che hanno speculato su energia e guerra?

Tutto questo, senza peraltro che il 1 maggio il Governo, con la propaganda di aver convocato un consiglio dei ministri nel giorno della festa del lavoro, abbia adottato alcuna seria misura per le politiche del lavoro. La piccola riduzione del cuneo fiscale e la tassa piatta non sono certo misure tali che rilanciano economia e imprese e creano occupazione.

Il lavoro è sempre più un miraggio, più precario soprattutto per i giovani, più difficile al Sud, il sostegno a chi ne è privo è sempre più misero. È facile tagliare, ma si lasciano sanguinanti le ferite di chi soffre e si sottovaluta la potenzialità ribelle che può scatenare il governare accrescendo ingiustizie.