Nel Mondo delle Pmi

Artenova rivitalizza le fornaci di Brunelleschi

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di Stefano Tesi

A metà degli anni Duemila, la gloriosa tradizione della terracotta di Impruneta, quella che sei secoli prima aveva fornito a Filippo Brunelleschi il laterizio per la costruzione della cupola del Duomo di Firenze, pareva avere i giorni contati.

Le fornaci, nella stragrande maggioranza microimprese prigioniere di un processo produttivo artigianale non industrializzabile, erano ridotte a sfornare piccoli oggetti ornamentali di scarso appeal commerciale. E in via di chiusura. Poi l’intuizione e la fortuna. O viceversa: proprio in quel periodo il mondo del vino vede nascere un trend destinato nell’arco di un decennio a diventare una moda planetaria, il recupero dell’antico uso dell’anfora in terracotta per la fermentazione e l’affinamento del prodotto. A Impruneta la rivoluzione comincia nel preciso momento in cui alcune fornaci si vedono arrivare, tra sorpresa e sgomento, commesse per la produzione di giare per l’enologia.

Tra le prime a cavalcare l’onda, nel 2009, è Artenova, la piccola azienda di Andrea e Leonardo Parisi oggi è divenuta uno dei leader mondiali del comparto con sbocchi in Francia (che da sola assorbe il 40% di un fatturato arrivato a 500mila euro), Svizzera, Austria e Portogallo.

Il resto del venduto si suddivide per il 20% sulla piazza internazionale (Stati Uniti, Brasile, Perù, Australia, Nuova Zelanda, Canada, Serbia, Albania, Sud Africa) e per il 40% in Italia: le anfore di Artenova sono infatti presenti nelle cantine di tutte le regioni d’Italia, Molise escluso e con un’ovvia prevalenza in Toscana (65 le aziende clienti) e Piemontese (18). Negli anni del boom, da 2012 al 2017 la produzione è triplicata, passando da 166 a 383 pezzi all’anno, tanto da costringere l’azienda a riorganizzarsi e a imporsi limiti quantitativi per garantire alla lavorazione artigianale una qualità costante: oggi la media è di circa 300 anfore all’anno.

Un successo dovuto tanto alle caratteristiche del prodotto quanto alla prontezza nell’intuire come, per consolidarsi sul mercato ed acquisire affidabilità, fosse necessario coniugare da subito l’esperienza della manipolazione artigianale dell’argilla con la consulenza di esperti e tecnici del settore vinicolo, capaci di dare suggerimenti specifici per un miglioramento mirato in un settore complesso come quello enologico. Lo scambio di know how sfocia nel 2016 in un protocollo d’intesa tra Artenova e il Dipartimento di Chimica dell’Università di Firenze per lo studio dell’influenza della terracotta d’Impruneta sulla qualità del vino, studio sugli esiti del quale viene oggi riferito con regolarità durante l’evento biennale “La Terracotta e il Vino” organizzato a Firenze dalla fornace stessa.

Attualmente quasi il 100% della produzione aziendale è costituito da anfore da vino nelle varie tipologie: dalle giare classiche, ai grandi “dolia”, ai nuovi contenitori a forma di uovo, fatti però di argilla e di dimensioni più ridotte (da 80 a 700 litri) rispetto a quelli in cemento molto diffusi oltralpe. In produzione anche le anfore per il vin santo.

Un apprendista per continuare la tradizione

«Nonostante i bei risultati negli ultimi dieci anni, la nostra rimane una microazienda artigianale», spiega Leonardo Parisi, imprunetino, classe 1971.

«In fornace siamo in cinque, compreso un trentenne che abbiamo assunto dopo un anno di apprendistato e che ci costituisce la speranza di continuare la tradizione.

Mi risulta che altre realtà del territorio abbiano fatto del resto qualche assunzione di recente, merito anche di un trend positivo che non ha mostrato cedimenti nemmeno durante o dopo la pandemia. Il nostro resta però un settore lillipuziano: a Impruneta siamo in quattro o cinque aziende a produrre anfore, in tutta Italia una ventina.

Ma intendiamoci: le anfore in quanto tali sono solo in terracotta. Gli altri prodotti in commercio, anche validi, come quelli in gres o in cocciopesto, non c’entrano con l’argilla!».