Nel Mondo delle Pmi

Lumina accende la luce grazie alle stelle del design

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di Paola Guidi e Franca Rottola

Un esempio perfetto, costruito con tenacia e fedeltà all’origine, di come e perché una piccola azienda che fabbrica solo illuminazione, riesca a diventare un brand di eco mondiale con il 95% di export. Lumina – nome anche su misura – è stata fondata dalla famiglia Cimini: fattura intorno ai 5 milioni di euro e rappresenta la più coerente attuazione della formula della Bauhaus, Form und Funktion. Con una coerenza che l’ha resa più famosa e venduta all’estero che in patria, perché all’estero e persino in Medio Oriente il raffinato minimalismo degli apparecchi illuminanti è particolarmente apprezzato.

Come recita la presentazione online, Lumina è luce pura da sempre. «Tant’è vero che la lampada di maggior successo e tuttora la più ricercata dai progettisti in tutto il mondo è la prima, la Daphine – sottolinea Ettore Cimini, titolare dell’azienda – con un’idea di base semplice ma efficace: un diffusore orientabile, un braccio articolato in due segmenti e un trasformatore elettromeccanico su una base cilindrica tra due calotte metalliche».

Daphine nasce dalla filosofia progettuale del padre Tommaso Cimini: «Tanta luce, poca lampada», che è ancora l’essenza di ogni prodotto che porta il nome di Lumina, l’azienda fondata nel 1980. Non solo Daphine ma anche altre collezioni firmate da archistar, che raramente accettano impegnativi progetti per le Pmi, interpretano il principio di una razionalità senza tempo. Un nome per tutti: Foster+Partners, un big dell’architettura è tra i designer di Lumina.

Il segreto di questo savoir faire così speciale? «La nostra fortuna è di aver sempre realizzato tutto all’interno dell’azienda – spiega Ettore Cimini – tutto è controllato sin dall’inizio, comprese le fasi della verniciatura e solo escludendo i componenti elettronici. E poter vantare e offrire un made in Italy realmente 100% italiano diventa un grande vantaggio competitivo. Ma anche nelle nostre presenze negli anni, al Salone, abbiamo cercato di differenziarci, dimostrando e mostrando in vetrine illuminate e in evidenza tutti i componenti che progettiamo e realizziamo in fabbrica. Questo per raccontare l’iter progettuale e costruttivo, per dimostrare in trasparenza la qualità della manifattura italiana. Noi cerchiamo sempre dei contenuti, tecnici e formali, perché devono tradursi in quelle che io chiamo macchine illuminanti e funzionanti».

Una ispirazione così netta e costante agli ideali del good design delle origini e della Bauhaus ha creato intorno a Cimini e a Lumina un’immagine difficile da umiliare o sminuire con la contraffazione. Perché vanta un’altra prerogativa esclusiva tutta italiana: quella di saper fare rete, dalla quale escono prodotti difficili da riprodurre perfettamente su scala industriale di massa. Difficile e troppo costoso. «Mi piacciono le sfide, ma soprattutto quando posso coinvolgere altre aziende con le quali collaborare, perché è dalle diversità che emergono le soluzioni».

Oggi Lumina appartiene per il 61% a Ettore e per il 32 al fratello Andrea che segue la parte amministrativa. Ed Ettore segue tutto l’iter tecnico, anche perché ha saputo mettere a frutto il percorso di studi al rinomato istituto tecnico Ettore Conti di Milano, fucina di esperti in progettazione e manifattura della miglior meccanica. «La mia fortuna è che ho potuto frequentare ben presto il mondo del design, perché nel laboratorio di famiglia a Baggio, vicino a Milano, venivano realizzati per conto della Artemide molte lavorazioni». Ma furono i fratelli Cassina a suggerire di tentare la via della produzione in proprio, dal momento che aveva acquisito un ‘esperienza preziosa, realizzando i trasformatori. Così nel 1975, alla Fiera Campionaria di Milano, debutta la prima lampada, quella Daphine che diventerà pietra miliare e simbolo stesso della futura azienda che si chiamerà Lumina nel 1980.

«A consacrare il nostro successo – ricorda Cimini – fu una giornalista della rivista tedesca Shoener Wohnen che scrisse una recensione così entusiasta da procurarci quasi subito molti compratori e arredatori. Da allora il mercato tedesco è sempre stato il più importante e il più costante e oggi rappresenta il 30% del fatturato». Che cosa ammirano di più i progettisti di questo percorso così improntato a un minimalismo molto lontano dai “birignao” del lusso tanto di moda?

«Rispondo con una frase del grande Magistretti: ‘un buon progetto si deve poter raccontare per telefono’, come risultato di una grande semplicità e essenzialità». Ed è questo mix di tradizione assistita dalla tecnologia scelta con misura e senza eccessi, che attirò irresistibilmente l’archistar Norman Foster nel 2009, quando “scoprì” Daphine e la comprò per le sue case. Cominciò così un sodalizio, seguito da altri con celebrati architetti, che ha arricchito il catalogo raffinatissimo di Lumina. Con sempre al centro la star, Daphine, declinata in tante versioni di un’attualità senza tempo ma, per il suo minimalismo, adatta a qualsiasi spazio e location.