Sostenibilità

Difesa dell’ambiente in crisi di credibilità

Scritto il

di Francesco Bertolini

La credibilità delle Nazioni Unite è ormai a livelli bassissimi, ma nonostante ciò sembra che l’organizzazione faccia di tutto per affossarla ulteriormente. Non si spiega altrimenti la scelta del presidente della prossima conferenza del clima a Dubai, la COP28, a fine 2023.

Il prescelto infatti è Sultan Ahmed Al Jaber, un nome da mille e una notte, che in realtà è l’amministratore delegato della compagnia petrolifera di Stato; sicuro quindi che il buon Sultan sarà molto preoccupato di eliminare i combustibili fossili dal pianeta…

Sembra una barzelletta, e invece si prosegue sulla linea della Cop27, tenutasi poco tempo fa a Sharm el Sheik e rivelatasi un totale fallimento. Nessuno può intaccare la cattedrale ecologica che ha ormai affiancato quella sanitaria nell’ indicare la giusta via per l’umanità.

Poco importa agli sceicchi della deriva climatica che angoscia Bruxelles e i suoi fedeli; d’altra parte, una deriva in quelle latitudini è avvenuta migliaia di anni fa, quando il Sahara era una sterminata savana popolata di antilopi e leoni, oltre che di tribù umane.

Il Sahara rappresenta una delle più grandi riserve idriche sotterranee del pianeta; lo spostamento dell’inclinazione dell’asse terrestre ha progressivamente modificato il ciclo delle piogge su questa enorme regione, rendendola desertica, fenomeno avvenuto tra i 5 e 10mila anni fa.

Secondo recenti ricerche dell’University college of London il tesoro d’acqua nascosto sarebbe di oltre mezzo milione di chilometri quadrati d’acqua con uno spessore di circa 75 metri, una quantità enorme, capace di riportare la vita in un territorio oggi inospitale.

Sarebbe troppo facile tra l’altro segnalare come il passaggio dalla savana al deserto non sia avvenuto per colpa di quei farabutti che vanno a lavorare a Milano con un diesel euro 5 perché non hanno i soldi per comprarsi una macchina elettrica, o per colpa di quei criminali che vivono in vecchie case non efficienti da un punto di vista energetico e non vivono nello chalet “casaclima” della Val Gardena, ma sarebbe come sparare sulla croce rossa.

Si deve decarbonizzare, i crediti di carbonio sono la nuova frontiera, grandi opportunità si aprono. Vancity, una banca canadese, ha fiutato il business e ha lanciato la prima carta di credito che collega gli acquisti alle emissioni di carbonio, consentendo così ai clienti di confrontare la loro impronta di carbonio con le medie nazionali, collegando spese ad alta impronta a un budget personale: chi lo supera dovrà acquistare unità aggiuntive di carbonio da chi è stato virtuoso e non ha consumato i propri crediti. Anche i grandi gruppi han deciso che uno dei loro obiettivi dovesse essere la decarbonizzazione; essendo questo un obiettivo sostanzialmente impossibile, perlomeno  nel medio periodo, l’alternativa è la compensazione, comprare cioè crediti in grado di equilibrare la loro impronta di carbonio.

È di pochi giorni fa la notizia che Verra, leader mondiale nella definizione di standard per la compensazione, è finita nell’occhio del ciclone per una inchiesta condotta dal Guardian, insieme al settimanale tedesco Die Zeit e a Source Material, una organizzazione non profit di giornalismo investigativo.

L’inchiesta sostiene che Verra abbia venduto crediti totalmente inutili, non in grado cioè di compensare le emissioni dei grandi gruppi (tra gli altri Gucci, Shell, Disney) che si erano affidati a questa organizzazione per “pulire” le loro produzioni.

Verra, tra l’altro, è basata a pochi metri dalla Casa Bianca, posizione strategica per chi deve avere l’avallo politico, fondamentale per ottenere spazio in un contesto dove gli Stati e i governi hanno ormai gettato la spugna e sono palesemente in difficoltà nelle strategie di riduzione delle emissioni; quindi cosa c’è di meglio se non affidare a soggetti privati, meglio ancora se ngo’s il ruolo di buoni, in grado di ridurre il riscaldamento globale (il mercato dei crediti vale già due miliardi di dollari e cresce a ritmi vertiginosi).

Gli standard che Verra ha definito, in realtà, non compensano un bel niente, in quanto finalizzati alla protezione delle foreste e non alla riforestazione e, come è noto, solo alberi in crescita stoccano anidride carbonica, mentre foreste mature svolgono il ruolo di cassaforte senza però assorbire la CO2.

Gli investigatori sostengono che il 90% dei crediti venduti a caro prezzo alle imprese, secondo standard definiti da Verra, siano crediti fantasma. Dei 95 milioni di crediti ceduti (ogni credito rappresenta una tonnellata di CO2) solo 5,5 corrispondono a una reale riduzione delle emissioni.

Il presunto scandalo Verra rischia di far esplodere una bomba green washing nucleare; problemi naturali di crescita di un mercato o fine anticipata dello stesso? Probabilmente lo scandalo non avrà conseguenze importanti, gli interessi in gioco sono troppo grossi per consentire di mettere freni negli ingranaggi. Confidiamo nel Sultan.