Sostenibilità

Il ritorno dei manager, tra pandemia e crisi energetica

Scritto il

di Davide Ippolito
(esperto di reputazione aziendale e direttore di Reputation Review)

Poco meno di 10 anni fa lo slogan “uno vale uno” riecheggiava non solo nelle stanze della politica, ma nei meandri delle imprese, delle industrie e delle organizzazioni. Il nostro Paese, fatto principalmente di piccole e medie aziende, vedeva un padre padrone, anziano proprietario, che diceva «si è sempre fatto così, si fa come dico io». Niente strategie, niente internazionalizzazione, niente adeguamenti senza incentivi.

Non abbiamo bisogno di manager, dicevano gli imprenditori. Non abbiamo bisogno di manager, dicevano istituzioni e organizzazioni, costano troppo. Può farlo chiunque, diceva la politica. Sono dei privilegiati, si sentiva tra l’opinione pubblica.

Il Covid, il PNRR e la crisi energetica ci hanno rapidamente dimostrato come nulla fosse più lontano dal vero di quelle affermazioni.

Dall’ultima analisi svolta con l’algoritmo brevettato Reputation Rating emerge come la Reputazione dei Manager sia cresciuta del 21% negli ultimi 24 mesi. Entriamo del dettaglio per spiegare meglio questo dato e l’impatto che può avere sulla nostra economia.

Perché investire nel capitale umano?

Investire strutturalmente in piani di valorizzazione e crescita del capitale umano manageriale rappresenta senz’altro un passaggio chiave per la ripartenza del Paese, alle prese con gli strascichi della pandemia da Covid-19, caro-bollette ed effetti a medio-lungo termine delle tensioni geopolitiche in atto.

Le competenze stanno finalmente tornando al centro del dibattito. Un ospedale o una scuola funzionano diversamente se diretti da persone competenti. Un’industria può ottimizzare centinaia di migliaia di euro di sprechi e salvare posti di lavoro, se affidata alle mani giuste.

Così se prima dicevi manager e accanto la discussione verteva su “privilegi”, “compensi d’oro”, “stipendi”, oggi scrivi manager e leggi “sostenibilità, capitale umano e competenze”. In generale possiamo dire che oggi più del 90% delle discussioni sui manager hanno accezione positiva o neutra.

La cultura aziendale e il capitale umano di un’impresa sono tanto importanti quanto il fatturato, la capitalizzazione azionaria o il valore degli investimenti in corso. I beni immateriali dimostrano la loro importanza soprattutto in tempi di crisi.

L’impatto sui driver reputazionali

Un manager oggi ha una responsabilità economica e sociale verso la propria impresa e impatta su tutti e 5 i driver reputazionali. Un buon management consente di accedere più facilmente al credito, di attrarre risorse migliori sul posto di lavoro, che lavoreranno con più piacere, di assicurarsi un buon rapporto con i fornitori, che vuol dire migliori materie prime, e migliori rapporti con le istituzioni e quindi in generale un miglior prodotto o servizio.

Non è un caso se nel discorso agli investitori di quest’anno Larry Fink, il Ceo di BlackRock, non si è più focalizzato sull’ambiente bensì sulle persone. La finanza ha scelto di mettere al primo posto nelle scelte di investimento la reputazione. Reputazione che oggi si basa su tre fattori: quello ambientale, quello sociale e quello del capitale umano, e tutti dipendono da un buon management.

Questi tre asset intangibili pesano sempre di più sul capitale economico del Paese. Ora anche i politici, gli imprenditori e la popolazione tutta lo hanno capito, le nostre imprese hanno bisogno di più manager, il Paese ha bisogno di più manager. Non è un caso che in ambito politico ed economico la parola più utilizzata sui giornali e sui social sia “Competenze”.

L’importanza della formazione continua

Ognuno vale ciò che sa fare, e ciò che sa fare ha bisogno di formazione continua.

Dietro questo traguardo di certo c’è anche il continuo lavoro degli ultimi anni di realtà come Federmanager, Cida, ManagerItalia, Cimo, Anp, le quali propongono e implementano nel concreto strategie per supportare e formare le figure manageriali del futuro, discutendone il ruolo direttamente con i decision maker politici e certificando le loro competenze.

C’è sempre più bisogno di manager per rimuovere processi che non funzionano bene, per raggiungere obiettivi e accertarsi che i principi e gli interessi della comunità siano posti al di sopra degli interessi e del potere del singolo individuo o di una fazione.

Ricordando sempre (citando Ray Dalio nel suo bellissimo libro “I principi del successo”) che il “chi” è più importante del “cosa”.