Economia della Conoscenza

Contri: l’informazione è ormai formazione di massa

Scritto il

di Alessandro Paciello

Nella redazione, di questa intervista ad Alberto Contri mi sono posto il problema di come presentarlo al lettore.

McLuhan non abita più qui? (Bollati Boringhieri, 2017)

Contri è stato il “Maestro” di buona parte della generazione di comunicatori di cui faccio parte. Ogni tentativo di riassumerne la biografia sarebbe sminuente per la levatura del personaggio.

D’altra parte, riportarla per intero richiederebbe l’intero spazio che questo giornale mi mette a disposizione. Quindi, chiedendogli perdono e con il suo permesso, provo a riportare solo alcuni riferimenti, rinviando il lettore ad approfondimenti che, volendo, può trovare su internet.

Alberto Contri è attivo da oltre mezzo secolo nel campo della Comunicazione. Ha esordito come copywriter in Mondadori, per poi approdare come Direttore Creativo, Amministratore Delegato e Chairman in due tra le maggiori Agenzie multinazionali di comunicazione.

È stato ai vertici delle associazioni di categoria del settore (unico italiano mai cooptato nel Board dell’European Advertising Agencies Association); è stato per 20 anni Presidente della “Fondazione Pubblicità Progresso”.

Dal ‘98 al 2002 è stato Consigliere della Rai, con la delega ai nuovi media; dal 2003 al 2008 Amministratore Delegato di Rainet (oggi Raiplay). Ha insegnato per 25 anni Comunicazione Sociale alla Sapienza di Roma e al San Raffaele-Vita di Milano.

Poi, allo Iulm che nel 2010 lo ha insignito della Laurea Honoris Causa in Relazioni Pubbliche delle Imprese e delle Istituzioni. Attualmente, è presidente del Board Scientifico del “Centro per la Responsabilità Sociale S. Bernardino”.

La copertina de La sindrome del criceto (Ed. La Vela, 2020)
La sindrome del criceto (Ed. La Vela, 2020)

È stato nominato Commendatore dal Presidente Scalfaro e Grand’Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente Ciampi.

Ha pubblicato: McLuhan non abita più qui? (Bollati Boringhieri-2017); La sindrome del Criceto (Ed. La Vela-2020); Comunicazione sociale e media digitali (Carocci Editore-2020).

Professor Contri, lei è spesso ospite di talk show televisivi in cui si discute di politica, pandemie, eventi bellici e di cronaca. Una delle poche voci dissenzienti rispetto al mainstream, da questo però tollerate. Cosa ci può raccontare da protagonista di questi ultimi anni di comunicazione di massa?

Non cose positive, anzi! Quelli che potrei definire come gli “alfieri del pensiero dominante” non solo non accettano che si possano discutere le loro granitiche posizioni, ma si impegnano nell’impedire e cancellare qualsiasi incontro e convegno dove possa emergere un confronto con voci critiche e dissenzienti. Lo stesso vale per gli articoli, stampati o su web. Le voci del dissenso, che non necessariamente devono essere quelle che “hanno ragione”, ma che hanno il compito di portare a un dibattito evolutivo per la società, sono censurate se non, addirittura, minacciate. Basti pensare a quanto successo negli anni del Covid-19, quando chi come me ha cercato di confutare le tesi unanimemente portate avanti dal mainstream ha perso il lavoro o è stato relegato a posizioni subalterne atte a non infiltrare dubbi nell’opinione pubblica. E non mi riferisco solo ai comunicatori, ma anche ai sanitari, alle forze dell’ordine, a quanti sono stati praticamente obbligati a farsi inoculare questi farmaci sperimentali (pena la perdita del lavoro, nda), in maniera subdola definiti “vaccini”, e che hanno contro questo obbligo preso pubblica opposizione.

Ne ha un’esperienza diretta?

Altro che! Sono fra i pochi che è riuscito a essere perlomeno presente in alcuni talk show nazionali con un parere discordante dal mainstream, messo però sempre in minoranza, sbeffeggiato, deriso, mentre supportavo le mie affermazioni con studi e statistiche di organizzazioni sanitarie governative, e quindi dati ufficiali, di altri Paesi. Non ho mai espresso un parere personale. Dato che so bene come si muove la comunicazione di massa ho sempre portato in trasmissione numeri e ricerche scientifiche a supporto. Ma ciò non bastava per evitare il pubblico ludibrio, l’essere definito “complottista”, ignorante e ricevere minacce.

Lei cita spesso a proposito il saggio di Mattias Desmet, docente di psicologia clinica dell’Università di Ghent, in Belgio…

Esattamente. Secondo Desmet una ben orchestrata “formazione di massa” ha inculcato nella mente della popolazione di tutto il Mondo, tramite l’induzione di paure di ogni tipo, da quelle per i virus a quelle belliche fino ai cambiamenti climatici, la convinzione che gravi restrizioni delle libertà e gravosissime transizioni cosiddette “green” debbano essere accettate senza discutere. Di più: devono essere considerate come un’indiscutibile religione, quindi con un senso di profonda fede in chi le propone, se non addirittura una bandiera da sventolare in faccia a una minoranza che osa porre alcune domande sul tema. Prenda le teorie LGBTQ, secondo le quali non esiste più il sesso biologico: chiunque non le condivida o provi semplicemente a proporre un punto di vista diverso viene stigmatizzato come un vergognoso omofobo. Mentre, al contrario, buona parte del cosiddetto “mondo della cultura” (o di ciò che di esso rimane), dell’ambiente dello spettacolo o del giornalismo si impegna con religiosa devozione a un’implementazione della diffusione di questi concetti, con pochissimo o nullo contradditorio, contribuendo perciò alla cosiddetta “formazione di massa”. Questa pressione mediatica porta, con una complicità dolosa o colposa, a decisioni da parte dei Governi di tutto il mondo che non si basano su reali supporti scientifici o almeno logici, quanto sull’emotività di un’opinione pubblica condizionata ad arte.

Da osservatore mediatico ed esperto di comunicazione, lei vede un “grande piano” dietro a quanto sta avvenendo nel mondo in questi anni?

Nel mondo moderno che conosciamo ci sono sempre stati grandi piani e accurate strategie per condizionare l’opinione pubblica. Quanto sta avvenendo negli ultimi anni però ci mostra una forte e decisa volontà “unipolare” che attraverso l’atlantismo americano sta condizionando il mondo occidentale e, in particolare, l’Europa. Del resto, non sto facendo il complottista, marchio che si dà oggi a  chiunque avanzi qualsiasi dubbio su argomenti socio-politici. Basta leggere i libri di Klaus Schwab, leader del World Economic Forum di Davos, che parlano di “grande reset” senza mezzi termini.

Quindi, a suo parere, sempre da analista della comunicazione quale lei è, c’è una guida strategica dietro quanto sta accadendo sui diversi fronti geopolitici e finanziari?

Certo e ci tengo a sottolineare che è proprio da analista della comunicazione che ne sono convinto, visto che da cinquant’anni faccio questo lavoro. L’inestricabile intreccio che lega i potentati finanziari che si concentrano in alcuni fondi, come BlackRock, Vanguard, StateStreet, JPMorgan e altri, tutti a loro volta partecipati dalle storiche famiglie della finanza, le stesse che oggi partoriscono i principali “filantrocapitalisti” protagonisti della comunicazione globale, lo evidenzia in modo direi drammatico: il potere è concentrato nelle mani di pochissimi individui. Un’oligarchia, ristrettissima, fortemente coesa, e per questo pericolosa per la democrazia.

Come agiscono questi fondi finanziari?

Basta informarsi perché sono notizie in buona parte pubbliche. Partecipano la maggior parte delle attività più redditizie del Pianeta: da quelle industriali, soprattutto farmaceutiche, a quelle alimentari; ma anche quelle mediatiche ed editoriali, non a caso, sottomesse anche grazie agli enormi investimenti pubblicitari con i quali tengono “al laccio” e asserviti i gruppi editoriali. Ma la cosa che trovo più grave è che direttamente, o tramite le loro partecipate, governano istituzioni che dovrebbero essere al di sopra delle parti, nell’interesse pubblico, e che generalmente vengono così percepite dalle masse, come OMS, World Economic Forum, Intergovernmental Panel on Climate Change e altre. Contrastare una simile piovra è quasi impossibile, anche perché con questo potere economico essa è in grado di scatenare vere e proprie guerre, interne ai Paesi e internazionali.

Quindi, un mondo ineluttabilmente senza speranza…

Non è detto. Anche se sarebbe bello augurarsi soprattutto una impennata nell’evoluzione spirituale dell’Essere Umano per poter far fronte a questa trama diabolica, i sociologi stimano che ci sia un risveglio diffuso e crescente tra le masse. La cosiddetta “area del dissenso” è passata in Italia da uno striminzito 5% a un più corposo 15-20%. Gran parte di questo risultato è proprio dovuto alla comunicazione che ha fatto perno su pochi e, direi coraggiosi, alfieri del pensiero critico e della sua diffusione mediante quei pochi media che si sono a questo fine messi a disposizione. E non va sottovalutato neanche il crescente numero di personaggi pubblici, politici, medici e ricercatori in ambito sanitario, legali, sociologi e politologi che hanno testimoniato una visione diversa, critica, che non si arroga con presunzione la “vera verità”, quanto il diritto alla critica e al confronto, senza il quale di democrazia è inutile riempirsi la bocca.