Economia della Conoscenza

Diecimila anni di birra tra archeologia e scienza

Scritto il

di Beppe Ceccato

Cover libro "Diecimila anni di birra"

Diecimila anni di birra. Dal neolitico ai moderni birrifici artigianali. È il titolo di un libro uscito proprio questo mese, edito in Italia dalla torinese Espress, scritto da Patrick E. McGovern, archeologo e direttore scientifico del laboratorio di archeologia biomolecolare per cucina, bevande fermentate e salute presso la Penn, l’università della Pennsylvania di Philadelphia.

Doc Pat, racconta una storia affascinante dove c’è spazio per la ricerca condotta spesso in modo avventuroso tra tombe e relitti navali dall’Africa alla Cina alle Americhe (per questo s’è guadagnato il titolo di Indiana Jones dell’archeologia biomolecolare) e attraverso studi in laboratorio dove, con l’aiuto di mastri birrai, è riuscito a ricreare nove birre – per altrettanti luoghi del mondo – vere e proprie “capsule del tempo liquide” con relative ricette dedicate agli homebrewers.

La prefazione è stata affidata a due maestri birrai d’eccellenza, Teo Musso della birreria Baladin e Leonardo Di Vincenzo della Birra del Borgo. A loro il compito, assieme al collega americano Sam Calagione, di riportare in vita l’Etrusca. Questo succedeva nel 2012.

Abbiamo chiamato Teo, uomo di rara ed effervescente creatività per farci raccontare quest’esperienza ma anche per conoscere la realtà dei birrifici della penisola.

Chi ti ha trascinato con Leonardo in quest’avventura?

Sam Calagione creatore della Dogfish Head Craft Brewery, amico di McGovern, un archeologo incredibile. Con Doc Pat abbiamo iniziato un percorso estremizzante alla ricerca di una possibile ricetta per la birra etrusca. Queste avventure sono sempre molto affascinanti, servono ad aprire la mente. Sulla Etrusca abbiamo lavorato sodo usando la ricchezza degli ingredienti che abbiamo a disposizione nel nostro paese, nocciole, uva sultanina, miele, melograno, resina naturale, genziana, uniti al luppolo e all’orzo saltato e a un ceppo di lievito reso disponibile dal biologo Duccio Cavalieri di oltre 1500 anni. È stato un emozionante percorso. Io ho affinato la birra in legno, Leonardo in anfora e Sam in bronzo, tre diversi percorsi che hanno dato altrettante interpretazioni.

Hai iniziato a metà degli anni Novanta, sei praticamente il padre di tutti i birrifici artigianali italiani. Oggi hai sul mercato tante etichette, birre curiose, ricche, che richiedono una profonda conoscenza della materia.

Lo so, in azienda sostengono che bisognerebbe fermarmi! La mia filosofia, però, è stata quella di crescere poco ma costantemente. Sam negli Stati Uniti ha una produzione di 700mila ettolitri, noi di 25. Devi maturare e salvaguardare quello che stai facendo, le crescite oltre il 20 per cento della tua produzione non sono sostenibili.

Cosa pensi dell’esplosione del fenomeno birre artigianali in Italia?

Provo un certo disagio perché noi siamo italiani, partiamo sempre entusiasti. Prima si fa, poi si ragiona e poi ci si adatta, con quel che ne consegue. Ci sono poco più di mille produttori sparpagliati in tutta la Penisola, mi fa piacere avere mille figli, anche se convinti di aver capito tutto sulla birra, ognuno con la propria ricetta giusta in mano. Il risultato è che in commercio ci sono 15mila etichette che rischiano di ingenerare confusione nel consumatore. Posso dirti che i primi dieci anni di produzione sono stati un bellissimo percorso di italianità. Poi con l’avvento della moda delle Ipa s’è virato verso il mondo anglosassone e s’è persa la territorialità.

Infatti si rischia la confusione: quale birra scegliere? A chi credere?

Ci sono molte etichette in giro però penso che il mondo della birra artigianale stia maturando, abbiamo tantissime eccellenze, uno standard medio molto più alto di prima. Verso i consumatori devono esserci messaggi chiari e soprattutto coerenza con quello che si fa.

Da anni tu produci il malto e anche i luppoli. Baladin è un birrificio agricolo.

La vera forza è il territorio. Sono ormai dodici anni che, come Baladin, abbiamo messo in commercio la birra 100% italiana. Oggi guido il Consorzio Birra Italiana con questo intento, guardare alla nostra territorialità e non essere trasformatori di prodotti internazionali. Nel prossimo decennio bisogna puntare sulla coltivazione di luppolo e orzo distico. Sul secondo siamo a cavallo, ma sul primo siamo un po’ indietro. Il luppolo ha una filiera che si può paragonare alla vite.

Birra e vino non sono poi così lontani…

Vero, quello che li differenzia è il mercato. Quello della birra è in mano per l’80% a cinque grandi multinazionali. Quello del vino è esattamente l’opposto, il grosso lo fanno i piccoli produttori.