Economia della Conoscenza

Il sultano e il Moulin Rouge: racconti dal Gran Paradiso

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di Beppe Ceccato

È ormai tardo pomeriggio e il ghiacciaio della Tribolazione entra in un cono d’ombra che lo rende ancora più distante e misterioso. Sono alla fine del mio viaggio, questo girotondo in senso orario che ho compiuto intorno alla gigantesca montagna, di valle in valle: Soana, Orco, Rhêmes, Valsavaranche, Cogne… altro che libro, è un’intera enciclopedia quella che ho sfogliato passo dopo passo. Un’infinita lista di nomi, di animali, cime, uomini…

Paolo Paci, classe 1959, è un giornalista, una vita passata tra magazine di viaggio ed enogastronomia, con un punto fermo: la montagna, in tutte le sue declinazioni. Il luogo che descrive è l’argomento del suo ultimo libro, L’Alfabeto del Paradiso, storia di un Parco Nazionale, delle sue cime, delle sue genti (Corbaccio, 324 pagg, 22 euro), uscito alla fine dello scorso anno, il giorno del centesimo compleanno del Parco del Gran Paradiso, istituito con il Regio Decreto 1584, il 3 dicembre 1922. La prima area protetta nata sul suolo italiano include due regioni, la Valle d’Aosta e il Piemonte, e numerosi comuni.

Un secolo di storia e storie che Paci racconta con grande spirito narrativo. C’è Il Sultano delle Nevi, lo stambecco più bello che mai si sia visto nel Parco, il Nuovo Mattino, “il Sessantotto” dell’Alpinismo, il racconto del tentativo di ricreare il Moulin Rouge a Campiglia da parte di una famiglia, i Clerico, emigrati in Francia e diventati proprietari del Lido e del regno del Can Can. E ancora, la Repubblica di Cogne, quattro mesi d’esperienza democratica nata da cittadini e partigiani. Tanti luoghi e personaggi, noti e meno noti, che hanno contribuito a formare il tessuto sociale e cognitivo del terriorio a partire da un Re alquanto strano…

Un Parco nato da una riserva di caccia della famiglia reale. Non sembra un ossimoro?

Nel 1821 Carlo Felice istituì il divieto di caccia allo stambecco, perché specie ridotta a poche centinaia di capi. Nel 1836 Carlo Alberto dette un ulteriore giro di vite, anche se la caccia era consentita alla famiglia reale. Ma è stato Vittorio Emanuele II a delimitare rigorosamente l’area, creando una Riserva di caccia, aiutando di fatto la crescita degli stambecchi. Il sovrano era un uomo particolare, si vestiva di fustagno, amava le cose semplici, mangiava pane e cipolla, faceva la guardia negli accampamenti durante la stagione venatoria, era un abile tiratore (ha riempito di maestose corna di stambecco le sue residenze reali, basti pensare al castello di Sarre). In tutto questo cacciare, però, c’era una selezione nell’abbattimento: non femmine né maschi sotto i tre anni, soltanto gli esemplari con le corna più maestose.

Lattività venatoria del Re sollevò anche leconomia delle valli?

Quando il Re arrivava la popolazione festeggiava. Vittorio Emanuele contrattava i battitori per la caccia, le carcassse degli animali uccisi venivano date in buona parte ai valligiani che mangiavano la carne solo in quel periodo… Dal baratto s’è passati al commercio grazie alla riserva e agli oltre 300 km di sentieri di caccia aperti che hanno connesso paesi e eprmesso commerci.

Poi arrivò il Fascismo. Cosa accadde?

Vittorio Emanuele aveva contrattato alcuni ex bracconieri per custodire i territori di caccia che svolgevano, in sostanza, la funzione di guardiaparco. Il Fascismo nella sua mania di centralismo, entrò anche nella gestione del parco: arrivarono milizie esterne. La guerra fece il resto e lo stambecco rischiò l’estinzione ancora una volta.

Dopo la guerra a chi toccò sollevare le sorti?

A Renzo Videsott il cui merito fu di costruire il parco moderno, scientifico. Dalla sua aveva tre peculiarità, era un bravo alpinista, un veterinario farmacologo e un grande amministratore. Furono anni duri per il parco, ma Videsott salvò gli stambecchi dall’estinzione. Non guardava in faccia nessuno, per questo la popolazione non lo amava, era temuto e rispettato. Senza dubbio è stato il primo ambientalista italiano.

Cosa ha insegnato un secolo di vita del Parco?

Negli anni Novanta fu promulgata una legge quadro che rivoluzionò l’approccio legislativo alle aree di protezione, facendo rientrare nelle decisioni gli enti locali. Si è così iniziato a fare anche gli interessi della popolazione. Oggi possiamo parlare di un turismo dolce nel Gran Paradiso, un modello virtuoso che ha influenzato gli altri parchi italiani. Si cammnia lungo la fitta rete dei sentieri reali, ci si può muovere liberamente nel territorio, praticare l’alpinismo. Non è come il modello dei parchi americani o svizzeri dove hai divieti ovunque.

C’è anche un approccio diverso su certe specie animali poco tollerate.

L’orso qui non arriva però sono arrivati i lupi, dalla Francia e dall’Appennino. Il suo ritorno è ben visto perché sul Gran Paradiso mancavano i grandi predatori. È tornato anche il gipeto, l’avvoltoio che si mangia le ossa delle carcasse. La piramide alimentare è stata finalmente ricostruita. l

L’Alfabeto del Paradiso, storia di un Parco nazionale, delle sue cime, delle sue genti, di Paolo Paci, Corbaccio, 22 euro. Sotto, l’autore al colle del Drinc in valle di Cogne. Sullo sfondo, l’Emilius.

Sugli scaffali ad aprile

Piero fa la Merica

Paolo Malaguti, Einaudi, 18,50 euro. Lo scrittore padovano, racconta l’emigrazione dei veneti di fine Ottocento vista da un adolescente costretto a trovare una nuova vita con la famiglia in Brasile. Un viaggio nell’ignoto, ma quando non si ha nulla, nulla spaventa…

Rivincite

Woody Allen, La Nave di Teseo, 15,20 euro.

Torna in libreria una delle raccolte umoristiche più sagaci e geniali del regista, sceneggiatore e musicista americano. Con una prefazione di Umberto Eco, che lo tradusse e fece conoscere in Italia.

A ognuno il suo Everest

Marino Giacometti, Mondadori, 19 euro

Il sottotitolo è “Come raggiungere il punto dove si incontrano cielo e terra”. Il fondatore dello skyrunning prende spunto dall’Everest, cima irraggiungibile, per dimostrare che con la volontà tutto si può fare. Anche correre una ultramaratona dritti verso il cielo…