Economia della Conoscenza

Visioni, dieci storie da narrare in musica

Scritto il

di Beppe Ceccato

Parole, quelle scritte e musica. C’è un legame tra note e lettere: entrambe compongono, nei rispettivi alfabeti, frasi compiute, che arrivano al cervello scatenando emozioni, stimolando la fantasia, aprendo porte e indicando cammini.

Visioni

Piero Salvatori, viterbese, 53 anni, è uno di quei musicisti appassionati della vita e attenti osservatori, che fanno della musica il migliore dei modi possibili per comunicare. Lo scorso anno ha pubblicato un piccolo libro, potremmo definirlo un breviario della sua musica, la necessità di raccontare le storie dalle quali sono nate le sue composizioni. Non per una banale e futile immodestia, ma per far capire a chi non pratica la lingua musicale, quanto potenti possano diventare in note gli attimi della vita, i brividi, una foglia, un piccolo particolare che scatena nuove combinazioni armoniche.

È questa la ragione di Visioni, che lo stesso Salvadori definisce «il primo QR Concert, un libro per leggere e ascoltare musica sul proprio telefono».

Edito da Zacinto Edizioni (32 pagg. 15 euro) è un libello con una prefazione di Ornella Vanoni, da leggere man mano che si ascolta il concerto di Piero: basta inquadrare il QR code, iniziare la lettura e ascoltare. «Sta incuriosendo molto», racconta l’autore. «Sono dieci storie per dieci brani. Il QR code ti porta in una piattaforma che ho creato io».

Piero tu sei un musicista di formazione classica?

Sì nasco come musicista classico, serissimo! Dopo il diploma, però, ho cominciato ad avere interesse per altri mondi musicali. La Classica ti insegna determinate cose, il pop e il jazz altre. Solo con la conoscenza puoi riuscire a essere completo.

Conta molto la curiosità nella musica?

Dovrebbe esserci in tutte le attività dell’uomo. La musica classica crea apposta delle barriere per poter rimanere nel proprio mondo. Però, se studi la classica puoi fare tutto, nella musica come nella danza. Il contrario è più difficile. Picasso ha cambiato la storia della pittura perché aveva solidi studi in materia, poi, forte degli insegnamenti ricevuti, ha potuto cambiare ed evolvere il suo modo di dipingere.

Quando hai iniziato a comporre?

La composizione mi ha travolto quindici anni fa, facendomi venire voglia di raccontare la mia vita, le mie storie, è una forza laica che mi ha permesso di sbollire tanti nervosismi.

Hai iniziato con il pianoforte e poi hai studiato violoncello. Sono due strumenti affascinanti ed emozionanti entrambi. Quale preferisci?

Li suono da quando avevo sei anni. Sono i miei più cari amici, coloro che non mi hanno mai abbandonato. Il pianoforte è il mio angelo custode perché è più rassicurante, è bellezza e serenità, armonia e delicatezza. Mentre il violoncello è un diavolo che appare sempre per sfidarmi, mettermi alla prova. Sono tutti e due indispensabili. C’è un libro che ho letto e riletto, Open di Andre Agassi (ho scritto anche una musica che porta lo stesso titolo). Ho trovato molte similitudini tra quello che racconta l’Agassi tennista e il mio studiare violoncello. Faccio un sogno ricorrente, il violoncello è come un cavallo bellissimo che tenta sempre di disarcionarmi. Amore e odio, come puoi capire. Ancora oggi quando lo suono mi fa scherzi, ma mi costringe anche a pensare. Sai, la musica è un’arte pericolosa, ti entra nella testa. Il violoncello mi fa questo effetto, è arrivato a essere un’ossessione, ti conduce all’estremo, alla ricerca continua, anni fa me lo sognavo di notte: lo suonavo e lui si spezzava, le corde saltavano…

Stai portando nei teatri da tempo ormai il tuo spettacolo Flyaway (è anche un disco pubblicato nel 2016). Mi spieghi meglio di cosa si tratta?

È un progetto “solo”, per pianoforte e violoncello. Li suono entrambi, con l’aggiunta di poca elettronica, lo stretto necessario. Prima racconto storie, che mi sono successe o inventate, con personaggi e luoghi. Poi arriva la musica e lì si crea la magia. È come la sceneggiatura di un film, i cui passaggi sono sottolineati dalla musica.

Perché sei parco nella pubblicazione di dischi?

Potrei farlo, ne ho un paio pronti, ma non ne sento la necessità. Flyaway è un disco aperto che cambia in continuazione. Piuttosto, vorrei fissare le mie musiche su colonne sonore di film, balletti, spettacoli teatrali. Sai, la musica è l’arte che può sostenere tutte le altre arti, è la più potente in assoluto. Se ci pensi, tutte le nostre vite a loro modo si possono vedere come una forma d’arte e la musica – con lei intendo anche il rumore, il suono in senso lato – è la nostra colonna sonora.