L'editoriale

Gli italiani indebitati e la crisi sospesa

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La chiamano così gli analisti, la crisi sospesa. È il tratto più importante, e più inquietante, che viene fuori dalla nostra inchiesta sui mutui e il costo del denaro che è schizzato in alto, e di molto, per le decisioni a catena anti inflazione della Banca centrale europea.

In termini economici vuol dire, in soldoni, tanto di quello parliamo, che ci sono tutti i parametri e i segnali di una grande crisi, qualcuno la paragona a quella dei mutui subprime che scoppiò in America sul finire del 2006 e che poi travolse tutto l’Occidente. Siccome nel nostro primo editoriale avevamo promesso chiarezza a ogni costo, ricordiamo che i mutui subprime erano, nel contesto a stelle e strisce, prestiti concessi a un soggetto che non poteva accedere ai tassi di interesse di mercato, perché aveva già avuto problemi nella sua storia, diciamo così, di debitore.

Tornando alla “sospensione” attuale vuol dire che per una serie di fenomeni finanziari, da noi gli effetti sono come ritardati di qualche mese, prima della cosiddetta legnata prevista tra Natale e l’inizio del 2023. Tradotto, balliamo e cantiamo sulla poppa del Titanic, fregandocene degli scricchiolii piuttosto rumorosi che la realtà ci manda.

Prendiamo i soldi in prestito per tutto, magari fosse solo per la casa, ma anche le vacanze, i telefonini e le tette nuove e ognuno ci metta pure tutte le soluzioni estetiche maschili, a tre o sei o nove mesi e così via. Neanche gli apocalittici, che hanno spadroneggiato con il Covid, fanno più presa sul nostro impulso alla rimozione, al voler ricacciare nello scantinato dell’inconscio la visione razionale dello stato delle cose. Che ha come corredo tutto quello che diciamo da settimane, caro energia, economia di guerra, costo della vita insopportabile, stipendi miseramente fermi al palo.

Il problema è che mentre nello scantinato dell’inconscio aumenta la polvere, nei nostri conti bancari diminuisce il totale. Ricordo che quando la rata del mutuo della nostra cara, alla lettera, dolce casa supera un terzo dello stipendio, l’azienda famiglia è a rischio fallimento. Mi è successo nel 2006 e ho dovuto vendere la casa. Anche oggi, in un’altra situazione della mia vita, ascolto con attenzione mia moglie (l’economista di casa) che snocciola aumenti da mal di testa per la rata dell’abitazione e le bollette. Se vendessi, ora, per l’effetto sospensione di cui sopra, ancora mi converrebbe. A breve avrò un mutuo alto e una casa deprezzata sul mercato.

Il mio amico Bertollo, già intervistato nello scorso numero del nostro Settimanale e presto protagonista, intellettuale, di una delle inchieste in lavorazione, ricorda sempre che l’inizio dell’incubo per la media dei suoi assistiti è la difesa della casa. I suoi assistiti sono quelli travolti dai debiti, fino a pensare al gesto estremo, e lui va in giro per l’Italia a far conoscere le leggi, che esistono, per uscire con dignità da situazioni spesso drammatiche.

A proposito di leggi, le istituzioni intanto che fanno? Patuelli, Presidente dell’Abi, Associazione Bancaria italiana, sollecita tutti, alla lettera, perché l’Europa conceda nuove possibilità di moratorie e ristrutturazione dei prestiti, perché solo allungando i tempi si dà respiro alle famiglie e alle imprese che ne hanno bisogno, ricordando che in Italia c’è un livello patrimoniale più debole rispetto ai paesi europei, per questo si fa più affidamento ai prestiti bancari.

Intanto il governo, con un emendamento al decreto Aiuti Ter, “garantisce” ai giovani fino a 35 anni l’accesso a condizioni agevolate a mutui che coprono l’80% del costo della prima casa. Se però i nostri concittadini faticano a prendere coscienza della realtà, le nostre imprese invece si stanno già organizzando, per fare cassa e fare fronte alla crisi innescata dai gemelli speculari dell’orrore economico, inflazione-recessione, in vista di tempi migliori. Lo stanno facendo ricorrendo a forme di prestito alternative a quello classico bancario.

Non rimane che dire, care Pmi, salvatevi e salvateci voi!