Inchieste

Legge 3: se non ti pagano, non aspettare!

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di Gabriele Politi

Gianmario Bertollo, tramite Legge3.it, da anni aiuta privati e imprese a uscire dal sovraindebitamento e a diffondere una corretta cultura dell’accesso al credito (la Legge 3/2012 è anche conosciuta come legge “salva suicidi”, ndr).

È possibile fare una stima realistica di quanti piccoli e medi imprenditori hanno dovuto indebitarsi, taluni fino al fallimento, a causa dei ritardi nei pagamenti della Pubblica Amministrazione?

Gianmario Bertollo
Gianmario Bertollo

«È difficile fare una valutazione del genere, soprattutto in questi periodi in cui i dati relativi al problema dei troppi debiti vengono rilasciati con il contagocce. Alcuni anni fa, durante il picco della crisi del 2008-2009 si stimavano in 14mila le imprese che erano state costrette a chiudere o a fallire a causa dei mancati pagamenti della Pubblica amministrazione. Un numero assurdo se pensiamo che è proprio la Pubblica amministrazione che dovrebbe garantire la puntualità dei pagamenti, non solo dei propri ma di tutto il sistema produttivo».

Quando un’impresa entra in crisi per mancanza di liquidità (molti possono essere i motivi, dalla crisi economica alla pandemia, dai crediti inesigibili al caro energia) quali strumenti legislativi oggi ha a disposizione per farvi fronte?

«Dal 15 luglio scorso è entrato in vigore, con due anni di ritardo dovuti alla pandemia, il Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza. Una riscrittura delle procedure concorsuali previste finora dalla Legge fallimentare che era un Regio Decreto del 1942, quindi un tantino obsoleta. Il Nuovo Codice ha come obiettivo quello di capire in anticipo i segnali di crisi e di porre in atto tutti gli strumenti per perseguire la continuità dell’impresa anziché la sua liquidazione come prevedeva in via principale la Legge Fallimentare. Quindi con la composizione negoziata della crisi come primo tentativo e poi le procedure di concordato in cui è prevista anche la transazione fiscale, si dà la possibilità all’imprenditore di risolvere i problemi che hanno determinato la situazione di indebitamento e continuare la sua attività come una risorsa per l’intera comunità, anziché soggetto additato e insultato come un “fallito”».

Secondo gli ultimi dati ABI, le PMI italiane sono indebitate per complessivi 25 miliardi di euro. Quali sono le ragioni principali per le quali le nostre imprese contraggono debiti e vanno in difficoltà?

«Le imprese italiane sono abituate da sempre a usare i soldi della banca, anziché essere capitalizzate ogni qualvolta è possibile e vivere con soldi propri. Ci sono poi molti imprenditori che non sanno gestire in modo efficace i flussi di cassa, e concedono dilazioni di pagamento troppo lunghe rispetto a quelle concesse loro dai fornitori, trovandosi così nella condizione di essere costretti a ricorrere a linee di credito che molte volte sono più costose dei margini che hanno nella vendita dei loro prodotti. Ho visto con i miei occhi imprenditori costretti dalle banche ad accantonare in conti correnti vincolati percentuali sul loro fatturato più alte dei margini di vendita al solo scopo di garantire i fidi concessi. Manca totalmente una educazione “all’imprenditoria”. Si prevede un corso per chi vuole fare l’agente di commercio o l’estetista ma non si prevede nessuna preparazione specifica per chi vuole aprire una partita iva e produrre. Poi arrivano periodi come quelli attuali o quelli passati nel 2008-2009, dove le aziende muoiono a centinaia al giorno».

Quali aziende possono accedere alla Legge 3? E quante vi hanno fatto finora ricorso? Con quali risultati?

«La legge 3 del 2012, ora inserita nel Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza, prevede le stesse procedure finora usate per le aziende maggiori anche per quelli cosiddette minori o per i privati cittadini. Le imprese minori, semplificando molto il concetto, sono quelle che non superano i 200mila euro di fatturato annuo o che hanno meno di 500mila euro di debiti. Purtroppo, fin dalla sua nascita pur essendo stata soprannominata la “Legge salva suicidi” non è stata mai pubblicizzata e divulgata dalla grande stampa o dalle autorità governative, e quindi i risultati finora ottenuti sono una piccola percentuale rispetto ad altri Paesi europei come Francia e Germania o Inghilterra. I risultati, quindi, sono una precaria preparazione dei professionisti che la dovrebbero far applicare, una scarsa conoscenza anche di quei soggetti previsti dalla legge come il perno principale della procedura, cioè i gestori della crisi, e quindi scarsi risultati positivi visto che la maggior parte delle domande (gli ultimi dati diffusi nel 2020 parlavano del 70%) vengono rigettate dai giudici preposti».

Che consiglio darebbe a un imprenditore che si trova adesso in questo tipo di difficoltà, magari per una ricca commessa non pagata o pagata quando ormai era troppo tardi?

«Di non incorrere nell’errore tipico di noi italiani: aspettare. Vanno prese immediatamente le misure previste per fronteggiare la crisi anche perché il Nuovo Codice prevede l’obbligatorietà da parte degli amministratori di attuare tutte le misure necessarie in maniera tempestiva per porre rimedio a momenti di crisi. Aspettare o procrastinare è l’errore più grave che oggi un imprenditore possa commettere. Bisogna agire subito con tempestività. Tanto più ora che è diventato un obbligo di legge. Anche qui purtroppo dobbiamo registrare una scarsissima informazione a partire dai professionisti stessi».