L'editoriale

Marx, Nietzsche e il liceo Made in Italy

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di Claudio Brachino

E tu che liceo farai? Classico, scientifico, linguistico, alberghiero….quante volte abbiamo sentito questa domanda, quanti dubbi, quanti rimpianti, quanti sogni, ma non avremmo immaginato che un giorno, probabilmente, potremo iscrivere i nostri figli a quello del Made in Italy.

L’idea, molto di più in realtà perché c’è già un disegno di legge, l’ha lanciata il nostro Presidente del consiglio nei giorni scorsi parlando a Verona al Vinitaly. Una scuola, ha detto la Meloni, che servirà a studiare i nostri territori e a gestire le nostre imprese, una scuola della concretezza che potrà aprire molte più strade professionali di altri corsi di studio più blasonati.

Insomma in soffitta Venditti e il bar dove Nietzsche e Marx si stringevano la mano (io lì ci ho pure incontrato Freud perché volevo fare lo psichiatra ma poi sono finito a Lettere), anche se un po’ di bagaglio umanistico nella vita ci è servito eccome! Ci saranno l’economia generale e aziendale, l’enogastronomia, la moda, l’arte, le lingue, la matematica, ma non il latino. Romani va bene, ma non troppo antichi, del resto le nostre celebratissime e spesso ignorate Pmi non si gestiscono mica parlando come Virgilio ma praticando digitale, banche dati e commercio con l’estero.

Calembour e solite diffidenze dei soliti criticoni a parte, il progetto però è suggestivo anche per il luogo in cui è stato detto, una delle fiere in cui si celebrano i frutti materiali ed economici della nostra terra, vino, olio, cibo. E forse è anche ora che questo slogan, Made in Italy, venga studiato, amato, capito, perché dietro c’è molto della nostra identità e del nostro Pil.

Ma anche e soprattutto del nostro fascino nel mondo. Noi siamo sempre così critici e vittimisti da non comprendere bene la nostra stessa genialità, la nostra capacità di produrre eccellenze che il globo ci invidia. Il Presidente Mattarella, di ritorno dalla visita in Kenya, paese in crescita economica e teatro di investimenti per l’Italia, ha ricordato come all’estero, specie appunto in zone di sviluppo, sia molto apprezzata la filiera delle nostre piccole e medie aziende, un modello di rapporto fra imprenditoria e territorio assolutamente unico.

Il territorio, appunto, un concetto che dobbiamo mettere bene a fuoco nell’epoca di internet. Un tempo, diciamo nella cultura economica e politica del Novecento, era uno spicchio di paesaggio definito nello spazio-tempo reale, con confini storici ed amministrativi definiti. Oggi le caratteristiche specifiche del territorio sono un brand, un mixer di simboli che viaggiano nelle autostrade del web lungo le mille interconnessioni della globalità. Traduco un po’ brutalmente, per portare i turisti cinesi sulle nostre coste non bastano le Fiere e per convincere un ricco di Shangai a farsi una casa con il design italico non serve andare lì a prendere le misure dei divani.

L’abbiamo scritto nel nostro primo editoriale, quello di ingaggio con i lettori, che per comprendere il destino delle nostre Pmi bisognava pensare a un mondo glocal, dove tutto ciò che è particolare ha senso solo nel contesto generale della globalizzazione e degli scenari geopolitici. La guerra in Ucraina docet.

Su questo schema si inserisce la provocazione di Piero Bassetti, guru lombardo ispiratore del nostro editore e che per noi ha scritto un articolo sulla sua teoria del Made by italics, dove il brand è portato nel mondo dalle persone e non dai luoghi. Per tornare sui banchi ideali del futuro liceo, forse ci siamo spinti troppo in alto ma sarebbe importante non spingersi al contrario verso un’eccessiva semplificazione.

Se lo presentiamo come una variante degli studi di agraria non ha alcun senso. Se lo pensiamo come la tappa iniziale di un percorso formativo dei futuri dirigenti delle nostre Pmi sarebbe davvero una grande novità. Un economista un po’ fuori dal mainstream, Papa, ci disse in un’intervista provocatoria che nel 2050 la filiera industriale che ci caratterizza, spesso familiare, sarebbe andata in crisi perché le nuove generazioni non avrebbero saputo gestire il patrimonio dei padri. Qualche volta gli apocalittici pensano così male che forse hanno ragione.