Finanza e Risparmio

BCE: Lagarde disorienta mercati e mutui

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di Mariarosaria Marchesano

Lo strano caso dei mutui a tasso variabile che costano più di quelli a tasso fisso rappresenta un effetto imprevisto della stretta monetaria messa in campo dalla Bce per combattere l’inflazione e della sua comunicazione contraddittoria. Quello che sta succedendo è che da qualche settimana l’Euribor a tre mesi, il parametro su cui si basa il calcolo dei finanziamenti per la casa a tasso variabile, è arrivato a livelli più alti (2,57%) rispetto all’Eurirs a 30 anni, parametro per i prestiti a tasso fisso (2,37%). Ovviamente, quando si sottoscrive un mutuo la banca applica anche le sue commissioni e le spese, solo così si arriva al Taeg, al tasso finale.

Ma a parità di spread bancario e di spese, oggi il variabile costa più del fisso ed è un sorpasso storico, che trova un precedente solo nella grande crisi finanziaria che nel 2008 scoppiò dopo il crac di Lehman Brothers, ma per ragioni del tutto diverse da oggi. All’epoca fu una crisi di fiducia tra banche a determinare l’andamento anomalo dei tassi, oggi è la politica della Banca centrale europea a generare l’anomalia.

La presidente Christine Lagarde non si è fatta finalmente capire, come qualche osservatore ha commentato dopo l’ultima riunione dell’Eurotower del 2 febbraio. Tant’è che quando ha annunciato un rincaro di 50 punti base che sarà seguito da uno della stessa entità a marzo, le Borse europee hanno reagito con un rally, proseguito nei giorni successivi.

Il punto è che i mercati hanno interpretato le parole della presidente della Bce sulle decisioni che verranno prese dopo marzo («in base ai dati», ha detto) come la fine dell’inverno monetario. In pratica, gli investitori, complici i primi segnali di riduzione dell’inflazione, vedono la fine dei rialzi dei tassi d’interesse come una possibilità concreta.

Questa percezione, ha spiegato una nota di MutuiSupermarket-Crif, si è riflessa immediatamente sull’andamento dei future dell’Euribor sul mercato di Londra. In base alle quotazioni attuali, si può, infatti, ipotizzare un picco del variabile al 3,5% già a settembre seguito da una graduale discesa sotto il 2,5% nel 2024-2025. Parallelamente l’Eurirs a 30 anni si mantiene costantemente a livelli più bassi perché riflette le aspettative di lungo periodo sui tassi che sono di una riduzione. Tali aspettative stanno di fatto spostando il mercato dei mutui – sia per quanto riguarda i nuovi prestiti che per le richieste di surroga – quasi completamente sul tasso fisso (90% delle richieste sul canale online a gennaio).

A prescindere dal fatto se questo sia un bene o un male, c’è da domandarsi se le prospettive di politica monetaria della Bce sono percepite in modo corretto. L’ultimo consensus di Bloomberg, elaborato sulla base delle opinioni degli economisti di istituzioni finanziarie europee, vede un livello dei prezzi al consumo in discesa dal recente 10% su base annua al 3 per cento a fine 2023 e al 2% nel 2024. E questo farebbe pensare che un allentamento della stretta monetaria è possibile.

Ma non tutti la pensano così. Robert Lind, economista della società d’investimenti americana Capital Group, una delle più grandi al mondo, pensa, invece, che le pressioni inflazionistiche in Europa dureranno più a lungo a causa della persistente incertezza politica che non favorirà una sostanziale discesa del prezzo dei beni energetici e poi, dice, le pressioni sull’aumento dei salari prima o poi si faranno sentire alimentando nuove ondate inflazionistiche. Ma c’è anche un’altra questione che gioca a sfavore dello sgonfiamento dell’inflazione e, paradossalmente, è stata messa in evidenza proprio da Lagarde: l’aumento dell’inflazione di fondo, cioè quella derivante dai beni di consumo e non dai prezzi energetici (arrivata al 5% nell’Eurozona).

Man mano che la crisi del gas diventa meno acuta, ha detto in sintesi Lagarde, è importante che i governi comincino contestualmente a ritirare le misure di sostegno a famiglie e imprese. Se ciò non accade, ci sarà bisogno di una risposta di politica monetaria più forte. In definitiva, pur avendo la presidente della Bce sottolineato che ci sarà ancora del lavoro da fare «dopo marzo», il suo messaggio è stato comunque interpretato con l’arrivo di un ammorbidimento di politica monetaria. Cosa che non è affatto scontata.

Ma perché le banche centrali non si spiegano più con chiarezza (qualche distorsione l’ha creata anche la Fed americana con annunci non sempre lineari)?

L’economista Franco Bruni, vicepresidente dell’Ispi, spiega che le banche centrali stanno facendo uno sforzo straordinario per rientrare da tanti anni caratterizzati da tassi nulli o negativi e da una montagna di liquidità immessa nel sistema comprando grandi quantità di titoli di stato. «In questo lungo periodo – dice in un’analisi – le politiche monetarie hanno preteso di fare anche il mestiere degli altri, delle politiche fiscali e industriali nonché delle attività produttive e commerciali in concorrenza sui mercati: hanno preteso di sostenere durevolmente la crescita reale, il che esula sia dai loro compiti che dalle loro vere possibilità. Inoltre, hanno finanziato con larghezza le esigenze dei governi sempre più indebitati».

Tutto ciò, secondo Bruni, ha creato le condizioni per l’accendersi di un’inflazione piuttosto impetuosa, che le stesse banche centrali hanno sottovalutato e previsto transitoria, di breve durata. «Quando si son decise a combatterla sul serio si son trovate sbilanciate, molto fuori dal sentiero di stabilità, con i tassi a zero o negativi e una liquidità in eccesso che è complesso estirpare dai mercati». Insomma, bisogna considerare la manovra in corso della Bce, come un’acrobazia difficile e straordinaria.

«Detto ciò, non dovremmo rimanere per sempre con la politica monetaria imprevedibile – prosegue il vice presidente dell’Ispi – Quando le deviazioni eccezionali dalla strada normale saranno rientrate, l’inflazione battuta, i tassi e la liquidità normalizzati, le banche centrali dovranno, credo, trovare il modo di promettere di non far più politiche esagerate. Sarà allora opportuno riformulare le loro strategie vincolandosi, ad esempio, a seguire una regola nel fissare i tassi, che non li porti a livelli dai quali poi occorre rientrare con manovre violente. Servirebbe una regola flessibile ma tale da muovere i tassi con molta gradualità quando l’inflazione e la crescita cominciano a deviare dagli obiettivi. Potrebbe essere opportuno che le banche centrali si autoimpongano, dichiarandolo, qualche limite a quegli acquisti di titoli che, col quantitative easing, hanno rigonfiato i loro bilanci e la liquidità dell’economia».