Finanza e Risparmio

Il governo inciampa ancora

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di Luigi De Magistris (Politico e scrittore)

In questi primi mesi il Governo e la sua maggioranza, che pure potrebbero correre e superare gli ostacoli con una certa facilità considerata la vittoria politica, stanno inciampando spesso, qualche volta su buche anche banali che loro stessi fanno diventare voragini, e a furia di inciampare possono farsi male politicamente con il Paese che però paga i danni.

Ultimo grave inciampo, il superbonus. Viene gestita male una questione senza dubbio complessa. Interrompere una procedura normativa e finanziaria, una misura sulla quale famiglie, imprese e lavoratori hanno costruito aspettative, lavoro e attuato diritti primari, come quello alla casa, significa creare le condizioni per gravi problemi sociali ed economici, con rischi di fallimento per imprese e licenziamenti di lavoratori.  E non era un’emergenza, né un fulmine a ciel sereno, era tutto risaputo e prevedibile. Ci sono strumenti normativi, finanziari ed economici che consentono di poter aggiustare storture ed invertire la rotta per il futuro, ma non cambiare patti e diritti in corsa.

Non si cambiano le regole del gioco durante la partita.

Così come, lo dico soprattutto da Sud, è stata gestita male la questione del reddito di cittadinanza.

Che bisogno c’era di aprire un fronte di fuoco, potenzialmente non arginabile senza danni enormi, con i più poveri e fragili per recuperare qualche miliardo che non incide certo sulla complessiva manovra economica? Bastava approvare correttivi ed impedire abusi, nonché aumentare risorse e prevedere norme per chi, privato e pubblico, crei lavoro. Così come piuttosto ingenuamente il Governo è caduto sulle accise ai carburanti; soprattutto, che senso ha appiccare il più pericoloso incendio sociale e territoriale sull’autonomia differenziata? Sta crescendo, difatti, nel sud del Paese la volontà di una sana ribellione sociale e culturale a questa misura che penalizza il Meridione, i più deboli, ma anche i territori più fragili del Centro e del Nord. Una misura iniqua che colpisce al cuore l’unità nazionale nelle sue fondamenta.

Se l’esigenza primaria è ridurre le disuguaglianze sociali ed economiche e consolidare la ripresa economica perché non si interviene in altre direzioni? Non si può arrivare al 2% del Pil per l’aumento delle spese militari, sia perché si alimentano le guerre sia perché sono miliardi sottratti, ad esempio, alle imprese e al lavoro. Si poteva con più coraggio mettere le mani nel portafoglio di chi ha speculato su guerra e pandemia sociale, incassando enormi extraprofitti. Si poteva anche prevedere un contributo di solidarietà nazionale per ridurre le disuguaglianze economiche intervenendo sulle più imponenti rendite finanziarie e i più grandi patrimoni immobiliari, per finanziare il salario minimo e l’adeguamento delle pensioni all’inflazione. Un Paese più coeso è anche più forte.

Invece, abbiamo un governo che non garantisce le fasce popolari e cade anche sul profilo istituzionale. Le fasce più deboli sono state lasciate al loro destino con rischi di tenuta sociale e perfino di pericolose infiltrazioni di chi opera con l’obiettivo di strumentalizzare il disagio popolare. Il profilo istituzionale ha subito crepe con le vicende delle dimissioni della sottosegretaria Montaruli condannata in via definitiva per peculato e le notizie, probabilmente coperte da segreto, che il sottosegretario alla giustizia Del Mastro ha passato sulla vicenda Cospito al suo collega di partito Donzelli al fine di utilizzarle per la lotta politica in Parlamento e nel Paese.

Un auspicio, prima che sia troppo tardi: in politica estera ci può ancora essere un ruolo più autonomo del governo italiano, senza più inseguire i signori e le signore (von der Leyen e Metsola) della guerra ad ogni costo, ma protagonista di una proposta di mediazione e di pace, magari interloquendo di più anche con la Cina e con i Paesi del Mediterraneo. Il Ministro Tajani, tenuto anche conto che la maggioranza degli italiani è contro le scelte dei governi sull’invio delle armi e sulle politiche di guerra, potrebbe battere un colpo diplomatico.