Finanza e Risparmio

Imprese e credito, meno debito e più finanza alternativa

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di Mariarosaria Marchesano

«La banca non è più l’interlocutore unico delle imprese e lo sarà sempre meno. Questo per un processo naturale di distanziamento avvenuto nel tempo a causa di vari fattori, dalle regole di Basilea alla concentrazione bancaria.

Basta chiedere un po’ in giro per rendersi conto di quante operazioni ci sono in cantiere per finanziare aziende che vogliono crescere. Per le Pmi italiane è il momento del private equity, delle quotazioni in Borsa e dei mini-bond perché spesso sono attrattivi più di quanto loro stesse siano consapevoli».

Maurizio Dallocchio, professore di Finanza corporate presso Sda e Università Bocconi, oltre a essere dottore commercialista e revisore legale, è un profondo conoscitore del mondo delle imprese, dei loro modelli di business e delle relazioni che intercorrono con gli stakeholder.

Osserva da anni il logorante assottigliarsi del rapporto con le banche soprattutto da quando le norme europee hanno fatto in modo che finanziare un’impresa che non sia già grande e famosa implichi un maggiore assorbimento di capitale per gli istituti di credito, da quando le banche dei territori stanno scomparendo e insieme a loro quegli incontri in filiale tra direttori e imprenditori che servivano per conoscersi, per stringere quel rapporto di fiducia che accompagna il rito dei prestiti.

Di banche in Italia, fa osservare Dallocchio, ce n’erano almeno 1.600 nel Duemila, si ridurranno  2-300 nel 2025 per via del processo di consolidamento in atto, e questo renderà sempre più impersonale il rapporto con gli imprenditori. «È un processo inevitabile a fronte del quale si registra, però, la straordinaria vivacità del mercato dei capitali, che rappresenta la vera alternativa per le imprese in una fase in cui il costo del debito bancario è in crescita a causa del rialzo dei tassi d’interesse» dice.

È vero anche, però, che i mercati sono sempre più soggetti a volatilità e incertezza come hanno dimostrato gli ultimi due anni, tra pandemia e guerra in Ucraina. «Bisogna imparare a convivere con l’incertezza e la discontinuità  – ribatte Dallocchio – perché sono diventati aspetti strutturali dello scenario economico globale. Chi misura sulle Borse mondiali l’indice della paura, ci dice anche che al picco della volatilità seguono sempre periodi di eccellente ripresa. Ecco, io penso che siamo vicini a questo: l’inflazione è prevista in discesa a fine anno insieme con il prezzo del gas e lo choc energetico presto sarà alle nostre spalle. Quello che le imprese devono imparare a combattere è l’illiquidità che le condanna a una dimensione ridotta anche quando hanno grandi potenzialità per potersi sviluppare e crescere».

Numerosi sono gli operatori finanziari (di origine bancaria, come per esempio Illimity, e specializzati nel private equity, come Clessidra) che si stanno strutturando per offrire nuove forme di credito o di partecipazione all’equity delle Pmi che, da parte loro, sottolinea Dallocchio, dovrebbero fare uno sforzo in più per aumentare lo standing di sostenibilità secondo i nuovi criteri Esg, anche se spesso rappresenta più un passaggio formale che sostanziale perché tante aziende rispondono già a questi requisiti pur non avendo ancora ottenuto un rating.

«Questo aspetto è fondamentale perché in prospettiva l’accesso alla liquidità sarà sempre di più subordinato all’essere sostenibili sotto il profilo ambientale, sociale e della governance: banche e operatori finanziari sono obbligati dai loro stessi investitori a selezionare le imprese sulla base di criteri che devono essere certificati» insiste Dallocchio.

Proprio di recente è uscito il nuovo rapporto di Assonime, coordinato da Corrado Passera, in cui si sottolinea che i cambiamenti normativi che sulla sostenibilità saranno introdotti a livello europeo interesseranno le grandi imprese, ma anche le piccole e medie se non vogliono restare escluse dai canali di credito e finanziamento oltre che dalle catene di fornitura. Questo comporta che gli amministratori delle Pmi – ha sostenuto il banchiere – dovranno valutare da una parte i profili di responsabilità Esg della propria attività e dall’altra l’utilizzo degli strumenti digitali a supporto di un’organizzazione più efficiente e consapevole.

Non è così? «Ogni anno in Bocconi, in occasione del Best performing Award, entriamo in contatto con centinaia di aziende che si dimostrano straordinariamente sensibili ai temi della sostenibilità, a volte manca loro la consapevolezza e un processo formale che lo attesti ma la strada giusta è questa a prescindere dal canale di finanziamento a cui si intende accedere».

Il cosiddetto “funding”, vale a dire la raccolta di capitali, avviene principalmente attraverso strumenti di debito bancario o di mercato (emissioni obbligazioni) ma si stanno facendo strada anche nuove formule, come il debito privato (fondi di private equity che si accordano con i propri investitori per erogare finanziamenti).

Ma la via maestra per assecondare un progetto di crescita resta la quotazione in Borsa, che, però, ancora oggi in Italia è circoscritta a un numero molto ristretto di aziende. «Nel nostro Paese il canale bancario rappresenta ancora l’85% delle fonti di finanziamento, in Germania è il 60%. Credo che bisognerebbe aspirare a raggiungere il livello tedesco nella consapevolezza che l’integrazione tra canali differenziati è la formula da privilegiare» conclude Dallocchio.