Finanza e Risparmio

Non solo Eurovita: faro su tassi e ritorno dei BoT people

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di Mariarosaria Marchesano

Il crac sfiorato di Eurovita ha messo in evidenza, tra l’altro, due cose fondamentali. La prima è la vulnerabilità del settore assicurativo di fronte alla stretta monetaria della Bce di Christine Lagarde per combattere l’inflazione; il secondo è la minore attrattività di strumenti di risparmio molto popolari come le polizze vita rispetto ai titoli di Stato.

Rappresentano due facce della stessa medaglia: l’aumento dei tassi d’interesse ha un impatto sugli indici di solvibilità delle compagnie facendo nascere la necessità di rafforzare il patrimonio e allo stesso tempo fa aumentare i rendimenti dei bond sovrani rendendoli più appetibili agli occhi degli investitori.

Se a questo si aggiunge, come nel caso dell’Italia, la strategia del governo che punta a far crescere la percentuale dei BTp nelle mani delle famiglie, ecco che si crea un cocktail potenzialmente esplosivo. Quello che sta diventando sempre più chiaro è che la crisi di Eurovita potrebbe essere la punta dell’iceberg di un malessere diffuso nel mondo assicurativo: come risulta dall’ultima relazione dell’Ivass, il 2022 si è chiuso con un rosso di 400 milioni di euro a fronte di utili per 4,3 miliardi registrato nell’anno precedente e sei delle 13 ispezioni condotte sui profili di vigilanza prudenziale si sono concluse con giudizi sfavorevoli.

Perché questo succede lo ha spiegato il presidente dell’Ivass, Federico Signorini, nella sua relazione annuale: se tutti gli assicurati detengono la polizza fino a scadenza, non vi sono rischi né per loro né per le compagnie. Se, però, le polizze consentono riscatti anticipati a valori predeterminati, possono cominciare gli squilibri. Può sembrare un tecnicismo, ma non lo è perché un numero crescente di richieste di riscatto anticipato si verifica quando sul mercato si trovano prodotti di risparmio con rendimenti più elevati, come i BTp decennali che sono al 4%, godono di tassazione agevolata e prevedono zero commissioni.

Non è un caso se nel mese di maggio Assogestioni ha registrato deflussi da prodotti di risparmio per quasi 5 miliardi di euro, in aumento dai 3,9 miliardi di aprile, per un totale da inizio anno di circa 16 miliardi in meno di raccolta rispetto allo scorso anno.

Insomma, il fatto che stiano tornando i “BoT people” mette in difficoltà non solo le assicurazioni ma anche i gestori di fondi comuni d’investimento e le gestioni separate in generale. Che fine hanno fatto questi soldi? Il fatto è che sempre più italiani stanno approfittando delle emissioni del Mef, alcune delle quali indicizzate all’inflazione, quindi con rendimenti potenzialmente anche superiori al 4% (almeno nei primi anni), per investire la liquidità che sui conti correnti non viene remunerata dalle banche. Gli stessi gestori di fondi comuni hanno fortemente incrementato la percentuale di titoli di Stato nei portafogli della clientela per cercare di aumentare il rendimento medio.

Insomma, è possibile che la politica del dicastero che fa capo a Giancarlo Giorgetti stia facendo concorrenza all’industria del risparmio ma questo è fisiologico: di fronte a ciò le compagnie dovrebbero cogliere l’occasione per migliorare l’offerta e contrastare la competizione di un governo che punta a internalizzare il debito.

Alla fine, il crac di Eurovita è stato sventato con un’operazione di salvataggio a carico del sistema assicurativo e bancario. Cinque big (Intesa Vita, Generali, Poste Vita, Unipol, Allianz) si divideranno le 350mila polizze vita garantendone il riscatto quando tecnicamente sarà possibile richiederlo, vale a dire dal prossimo ottobre, quando tutti i tasselli del complesso puzzle del salvataggio saranno andati a posto, compreso l’accordo con 25 banche che hanno distribuito i prodotti.