Finanza e Risparmio

Quel circolo vizioso tra banche minori e le piccole imprese

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di Mariarosaria Marchesano

Gli Stati Uniti avranno anche peccato di leggerezza nella vigilanza sulle banche medie e piccole, ma quando si è trattato di affrontare e risolvere casi di crisi non hanno mostrato esitazioni. Dal 1980 ad oggi la Federal Deposit Insurance Corporation ha gestito “senza traumi” il dissesto di oltre 3.500 banche, come ha ricordato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nelle considerazioni finali della sua relazione a fine maggio. Un passaggio molto significativo perché vuol dire che al di là della indubbia “superiorità” europea in quanto a vigilanza bancaria, si deve ammettere che il sistema americano dispone di strumenti veloci ed efficaci per minimizzare le ricadute dei fallimenti creditizi sui depositi non protetti, vale a dire quelli dei piccoli risparmiatori.

Dopo la grande crisi finanziaria, la Bce ha imposto regole severe che vengono applicate a prescindere dalle dimensioni delle banche dell’Eurozona. Ma il nodo, secondo il governatore, sta proprio nella dimensione: mentre nei momenti di debolezza le “big” riescono ad assorbire le perdite e a ricapitalizzarsi, le banche minori incontrano maggiori difficoltà nel ricorso al mercato dei capitali, soprattutto nelle fasi, come quella attuale, di tassi d’interesse crescenti. Così, in Europa – questo l’auspicio finale di Visco – andrebbe rafforzata la capacità di agire con rapidità in situazioni di rischio sistemico generate da banche di piccole dimensioni.

Il problema si pone perché proprio la recente esperienza americana insegna che i rischi per la stabilità finanziaria possono arrivare anche da realtà di piccole dimensioni, oltre al fatto che per affrontarle occorrono risorse, regole e strumenti di cui l’Europa dispone solo in parte (il Fondo di risoluzione unico che, però, ha una dotazione finanziaria molto limitata).

La stabilità del sistema bancario italiano, ha ricordato Visco, è il risultato di un intenso processo, realizzato negli ultimi dieci anni, di risanamento dei bilanci, di miglioramento dell’efficienza, di rafforzamento del governo societario e dei controlli interni; un risultato che molti osservatori, anche autorevoli, dubitavano anche che potesse essere raggiunto.

Ciò non toglie che permangano casi di debolezza e vulnerabilità, in Italia come anche in Europa soprattutto se, come sembra, l’aumento dei tassi d’interesse dovesse continuare a ritmo serrato com’è stato nell’ultimo anno per combattere l’inflazione persistente. In altre parole, per quanto il sistema bancario sia in salute, un deterioramento degli attivi è possibile, e in parte è già in atto, generato dal rallentamento dell’attività economica.

Questa prospettiva sta spingendo alcune delle maggiori case d’investimento a domandarsi se avere azioni bancarie in portafoglio rappresenti ancora un’opportunità e per quanto tempo.

Secondo Massimo Trabattoni, responsabile del settore equity per l’Italia di Kairos, la società di gestione patrimoniale fondata da Guido Maria Brera, i risultati riportati nel primo trimestre di quest’anno dalle banche europee, con utili superiori alle attese, sono senz’altro positivi ma d’ora in poi l’approccio «sarà inevitabilmente destinato a diventare più selettivo e opportunistico con il mercato che inizia a chiedersi se quelli visti nel corso di questo primo trimestre dell’anno siano utili di picco o meno e, pertanto, se d’ora in avanti le banche possano riservare ancora sorprese positive».

Ci sono, secondo Trabattoni, diversi elementi da monitorare, come il fatto che le banche prima o poi cominceranno a corrispondere una remunerazione ai propri depositi (sia di imprese che di piccoli risparmiatori) iniziando a comprimere il proprio margine di interesse netto o che la stretta creditizia da qui ai prossimi mesi potrebbe accentuare il rischio di una recessione, con conseguente aumento degli accantonamenti e del costo del rischio bancario.

«Pertanto – spiega il gestore di Kairos – ribadiamo la nostra preferenza in questa fase per banche di grandi dimensioni rispetto a quelle più piccole».

Questo, inevitabilmente, aggiunge in sintesi, penalizza le Pmi, che alla luce della loro correlazione con il ciclo economico nei prossimi mesi saranno percepite dalle banche (soprattutto da quelle che hanno spalle meno larghe) come più rischiose. Il che aiuta, sostiene Kairos, a spiegare la sottoperformance che anche nel mese di maggio ha caratterizzato le mid e le small cap in Borsa rispetto ai titoli a maggiore capitalizzazione.

Insomma, quello che rischia di crearsi per effetto del restringimento della politica monetaria è un circolo vizioso che partendo dalla maggiore vulnerabilità delle banche di dimensioni minori finisce per penalizzare anche le piccole imprese che fanno più fatica ad accedere al credito bancario (credit crunch) e per questo diventano meno appetibili sul mercato azionario.

«Il fattore determinante affinché questo divario di performance si chiuda è una maggiore fiducia nello scenario macroeconomico nazionale, e di conseguenza una maggiore visibilità sull’andamento delle variabili economiche chiave a livello globale», conclude Trabattoni.