Finanza e Risparmio

Rischi per il credito all’edilizia non residenziale

Scritto il

di Mariarosaria Marchesano

Roberto Nicastro è un banchiere che ha sia visto fallire vecchi modelli di business del credito (nel 2015-17 ha gestito il primo caso di bail-in in Europa, con la risoluzione delle quattro banche del centro Italia, Etruria, Marche, Ferrara e Chieti, la costituzione delle rispettive bad bank e la cessione sul mercato degli attivi) e sia ne ha visti nascere di nuovi, più moderni e fintech come Banca AideXa di cui è presidente e cofondatore assieme all’ad Federico Sforza e altri.

Negli ultimi sette-otto anni molte cose sono cambiate nel sistema bancario italiano che ha curato le sue fragilità ed è diventato più forte rispettando le severe regole di vigilanza imposte dalla Bce, «ma non si può mai abbassare la guardia specie se proseguisse un forte rialzo dei tassi – dice Nicastro al Settimanale –  per esempio, il credito all’edilizia non residenziale è a rischio, perché subisce l’impatto della recessione economica e allo stesso tempo del cambio degli stili di vita e di lavoro come la diffusione dello smart working, che ha indebolito la domanda di uffici».

Per Nicastro, l’Italia e l’Europa hanno lavorato ex ante per prevenire crisi bancarie con controlli e stress test, mentre gli Stati Uniti sono più efficaci ex post, sapendo, e potendo politicamente, gestire in modo tempestivo casi di crisi anche inaspettati com’è accaduto per le banche californiane. «Lì si riuniscono tre o quattro persone e in un week end trovano una soluzione – prosegue il banchiere – Noi in Europa non riusciamo a fare altrettanto, non abbiamo nemmeno ancora un’assicurazione europea comune dei depositi, ma nel nostro sistema c’è un maggior grado di fiducia proprio per l’incessante e puntiglioso lavoro di prevenzione su banche grandi e piccole, che in America non hanno fatto».

Mondi diversi sulle due sponde dell’Atlantico, che, però, stanno per avvicinarsi perché gli Stati Uniti rafforzeranno la vigilanza sulle banche medie, che, come spiega Nicastro, si sono dimostrate più esposte «agli choc idiosincratici» provocati dall’inversione della politica monetaria.

«La Bce, dopo aver immesso oceani di liquidità nel sistema, ha avviato un percorso di ritiro molto accelerato, ma dopo le ultime turbolenze ha dato segnali di avere a cuore la stabilità finanziaria oltre che la lotta all’inflazione. Il mercato ha interpretato questi segnali con una maggiore prudenza e cautela sulle future mosse sui tassi». Anche perché se è vero che il sistema bancario dell’Eurozona si è dimostrato più resiliente, è anche vero che nella confederazione elvetica è stato scongiurato per un soffio un crac come quello di Credit Suisse, una banca sistemica, di quelle che non possono fallire perché rischiano di tirarsi dietro tutti gli altri. E nella stessa zona euro, istituti di grande rilevanza come Deutsche Bank sono finiti sotto attacco dagli hedge fund, malgrado i grandi passi avanti fatti con le ristrutturazioni degli ultimi anni.

Come va interpretata la relativa tranquillità seguita alle due settimane di fuoco che nel mese di marzo hanno fatto tremare i mercati, la tempesta è alle spalle?

«Molto dipenderà dalla politica monetaria della Bce – osserva il banchiere – ulteriori forti rialzi dei tassi, che per la verità non mi aspetto, potrebbero esporre i punti di fragilità del sistema finanziario, come appunto, le esposizioni al settore dell’edilizia non residenziale». Esiste il rischio di un credit crunch, di stretta creditizia, per le imprese? «Direi che una politica monetaria restrittiva come quella che sta attuando la Bce mette in conto il credit crunch perché il suo obiettivo è proprio quello di raffreddare l’economia per combattere l’inflazione. La stretta creditizia è già arrivata in Italia e gli ultimi dati del fondo centrale di garanzia lo dimostrano: nel primo trimestre 2023 i crediti erogati sono stati 11 miliardi rispetto ai 17 dello stesso periodo dello scorso anno, ed è un peccato perché in media le Pmi italiane sono più resilienti oggi di 5-10 anni fa. E stiamo parlando della principale fonte di credito a medio lungo disponibile alle piccole e piccolissime imprese».

In questo scenario, in cui la vita per le piccole imprese diventa sempre più complicata come si inserisce una banca fintech come AideXa?

«Il nostro modello di business è focalizzato su attività di dimensioni molto piccole: dalle partite Iva ad aziende fino a 10 milioni di fatturato. Nel 2022 abbiamo erogato nuovo credito per 300 milioni e, a giudicare dalla crescita del primo trimestre, il 2023 è proiettato verso quasi un raddoppio». AideXa è ancora una start up nel mondo fintech, una sfida che grandi gruppi, come Generali con il 16 per cento, Banca Ifis e Banca Sella con il 10 per cento, Isa, Confartigianato e tanti piccoli investitori hanno lanciato in mezzo al Covid e che ha ottenuto la licenza bancaria a metà 2021.

Aidexa punta al break even a metà 2024. La raccolta avviene principalmente con depositi vincolati per i privati sotto i 100mila euro, quindi protetti dal Fondo di Garanzia. A fine marzo Aidexa ha lanciato Conto X, un conto corrente che serve da parcheggio di liquidità per le Pmi, che offre loro un rendimento dell’1% (quando sul mercato i conti imprese da oltre un decennio non sono in genere remunerati) anch’esso protetto dal Fondo se di ammontare inferiore ai 100mila euro. Quello della mancanza dell’assicurazione europea dei depositi è uno dei punti deboli del sistema bancario continentale: quando si arriverà ad averlo? «Punto complicato, temo occorra un ulteriore passo nel progetto politico europeo per dare forte spinta all’unione bancaria e al completamento del mercato unico dei capitali».