Finanza e Risparmio

Titoli di stato in cerca di una bussola. L’inflazione alleata a sorpresa?

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di Mariarosaria Marchesano

Un mini-rally di inizio anno che si poggia su un fragile equilibrio. Così Piazza Affari e le altre Borse europee cercano disperatamente di rialzare la testa dopo la batosta del 2022, anno in cui gli indici del Vecchio Continente hanno perso in media il 12-14 per cento mentre i mercati finanziari globali hanno bruciato complessivamente 20mila miliardi di capitalizzazione, travolgendo contemporaneamente le azioni e le obbligazioni che in genere sono anticicliche, cosa che non succedeva dagli anni Trenta con questa entità.

L’equilibrio è fragile perché variabili come la Cina, l’inflazione e la guerra russo-ucraina (quest’ultima sembra paradossalmente preoccupare meno gli investitori rispetto a qualche mese fa) continuano a generare grande incertezza.

Ma nel radar degli investitori è tornato di recente il rischio Italia, che forse non se n’era mai andato nonostante l’apprezzamento mostrato per la politica fiscale del governo Meloni.

Erano appena finiti i botti di Capodanno che il Financial Times ha pubblicato un sondaggio tra economisti in cui nove su dieci hanno dichiarato che l’Italia è il Paese più suscettibile di una crisi del debito – simile a quella del 2018 o, peggio, a quella dell’estate 2011 – poiché la Banca centrale europea guidata da Christine Lagarde aumenterà ancora i tassi d’interesse e acquisterà meno obbligazioni dai governi dei Paesi dell’Unione nei prossimi mesi.

In pratica, esisterebbe la possibilità di una svendita massiccia di titoli di Stato tricolori dovuto a una crisi di fiducia dei mercati e questo nonostante il governo di centro-destra stia cercando di seguire un percorso virtuoso (ha previsto che il deficit pubblico scenda dal 5,6 per cento del Pil nel 2022 al 4,5 per cento nel 2023 e al 3 per cento l’anno successivo).

Il fatto è che il debito dell’Italia resta elevato e le maggiori esigenze di rifinanziamento mettono il Paese in una situazione potenzialmente complicata: questa, in sintesi, la preoccupazione espressa dagli economisti allarmati dal fatto che il rendimento dei BTp a 10 anni è salito sopra il 4,6 per cento a fine 2022 (si è leggermente ristretto nelle prime sedute del 2023), quasi quadruplicando il livello di un anno fa, e 2,1 punti percentuali sopra il rendimento equivalente dei titoli tedeschi.

Insomma, l’alto stock di debito, l’elevato deficit fiscale e anche la necessità di ulteriori misure di sostegno energetico del Paese preoccupa non poco i mercati.

Del resto, basta andare sul sito del Mef per verificare che nel 2022 il costo medio per interessi pagati sulle emissioni obbligazionarie è stato di 110 basis point più elevato rispetto al 2021-2020. Una situazione potenzialmente esplosiva che ha spinto il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, a lanciare un appello alla Bce affinché fermi l’aumento dei tassi, e che ha indotto tra gli altri il ministro della Difesa, Guido Crosetto, a criticare apertamente la politica di Francoforte.

Senza la Bce che acquista titoli di Stato, infatti, il Tesoro dovrà rivolgersi sempre di più agli investitori internazionali, i quali stanno tornando a porre l’antico tema della sostenibilità del debito italiano. Quello che si potrebbe verificare è il classico effetto palla-di neve, con interessi che diventano più elevati della spesa nominale. A una situazione del genere si può far fronte solo con una crescita del Pil sostenuta e non prossima allo zero come sarà quella dell’Italia quest’anno, secondo tutte le previsioni. Un simile scenario, secondo alcuni osservatori di mercato, dovrebbe incoraggiare il governo nel perseguire la lotta all’evasione fiscale, che, in assenza di crescita economica, farebbe aumentare le entrate provenienti dalle tasse.

Ad ogni modo, il rischio Italia torna come uno dei temi caldi del nuovo anno su mercati già molto provati, anche se non privi di slanci positivi. Per esempio, la persistente inflazione, di cui si vede qualche segnale di inversione di rotta, ma è probabile che impiegherà più tempo del previsto per tornare su livelli considerati fisiologici (si veda anche l’inchiesta nelle pagine 10-11) potrebbe spingere – secondo alcuni analisti – i rendimenti delle obbligazioni a lungo termine, in particolare dei titoli indicizzati, che si stanno diffondendo in tutta Europa e di cui proprio l’Italia ha fatto da apripista lo scorso giugno con un’emissione che ha raccolto circa 9 miliardi e un’altra lo scorso novembre  di 7 miliardi. In pratica, si può comprare inflazione (a dicembre 9,2 per cento nell’Eurozona e 11,6 per cento in Italia) come forma d’investimento, che consente di proteggersi contro l’aumento dei prezzi, scommettendo sulla durata lunga dei titoli ma anche su una relativamente più contenuta.

Insomma, in una prospettiva in cui i tassi d’interesse reali restano elevati, l’inflazione diventa certamente un fattore erosivo dei risparmi accumulati durante la pandemia – come dimostra il fatto che in Italia i depositi sui conti correnti sono diminuiti di 50 miliardi negli ultimi tre mesi – ma può essere anche un’opportunità di investimento. Chi ha investito nel BTp Italia emesso dal Mef a giugno 2022 si è visto, infatti, accreditare ricche cedole il 28 dicembre.

Tanto per fare un esempio: su un investimento di 50mila euro, la cedola semestrale è stata pari a circa 3.300 euro poiché il rendimento di questi titoli di stato tiene conto del caro vita. E alla prossima scadenza di giugno 2023 la cedola non dovrebbe essere troppo diversa considerando che tutte le previsioni vedono l’inflazione persistere su livelli elevati almeno per tutto il primo semestre del nuovo anno.