Finanza e Risparmio

Trasparenza e corruzione, la scalata dell’Italia

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di Dino Bondavalli

Il momento per cantare vittoria è ancora lontano. Ma, se si considera il quadro nel suo complesso e si guarda anche a quanto accaduto nel resto d’Europa e del mondo, i risultati della lotta alla corruzione in Italia fanno sicuramente guardare al futuro con maggiore ottimismo di quanto non accadesse in passato.

Questo, almeno, è quanto emerge guardando all’indice di Percezione della Corruzione (CPI), elaborato da Transparency International e pubblicato nei giorni scorsi, che per il 2022 colloca l’Italia al 41° posto a livello mondiale, con un punteggio di 56. Dopo il balzo in avanti di 10 posizioni registrato nel CPI 2021, l’Italia ha, infatti, confermato il punteggio dello scorso anno e scalato un’ulteriore posizione nella classifica globale dei 180 Paesi oggetto della misurazione.

Se poi si guarda ai progressi fatti negli ultimi dieci anni, l’Italia, che nel 2012 aveva un punteggio di 42, è addirittura quarta a livello globale, a conferma di come il trend positivo sia tutt’altro casuale. Come se non bastasse dal 2012 al 2022 solo 25 Paesi hanno compiuto progressi significativi, mentre ben 155 Paesi non ne hanno compiuti e alcuni hanno addirittura peggiorato il loro punteggio.

«È giusto valorizzare gli sforzi che sono stati messi in campo dal nostro Paese, che peraltro sconta una serie di fattori, come la volatilità di governo, che ne hanno un po’ frenato i progressi», conferma Iole Anna Savini, presidente di Transparency International Italia. Ciò detto, «l’Italia si conferma nel gruppo dei Paesi europei in ascesa sul fronte della trasparenza e del contrasto alla corruzione, anche grazie all’applicazione delle misure normative in tema di prevenzione della corruzione, alle norme sul whistleblowing e al nuovo codice degli appalti adottati nell’ultimo decennio».

Che poi l’Italia sia ancora indietro rispetto ai propri partner europei, in una classifica che vede la Danimarca al vertice con 90 punti, seguita dalla Nuova Zelanda e dalla Finlandia con 87 punti e dalla Norvegia con 84, nessuno lo nega. A livello europeo l’Italia è, infatti, al 17° posto tra i 27 Paesi membri dell’Unione Europea, il cui punteggio medio è 66.

Ciononostante, i motivi per considerare il bicchiere mezzo pieno ci sono tutti. Non solo dal punto di vista politico, ma anche economico.

«Questo dato del CPI ha una valenza operativa concreta», sottolinea Savini, «nel senso che noi sappiamo bene che viene letto a livello internazionale e si traduce in investimenti sull’Italia e sul sistema Paese e in audit più o meno severi da parte dell’estero». In tal senso il trend positivo del Paese rappresenta una buona notizia anche per le imprese, che a loro volta si stanno sempre più spesso dotando di strumenti e modelli operativi volti a contrastare la corruzione e ad aumentare la trasparenza.

«Quello verso la piena integrità è uno sforzo imponentissimo, soprattutto per la piccola e media impresa che non ha la forza economica e organizzativa dei grandi gruppi, ma più ci uniamo in questo lavoro congiunto, più il sistema Paese ne trarrà beneficio», prosegue la presidente di Transparency International Italia. Quanto a ciò che resta da fare, «la volatilità politica e le elezioni anticipate hanno ritardato i progressi su capisaldi fondamentali come la regolamentazione del lobbying e il conflitto di interessi».

Due punti che Transparency ha posto all’ordine del giorno al Governo Meloni. Perché per continuare a scalare la classifica, in fondo alla quale troviamo la Somalia con 12 punti, la Siria e il Sud Sudan con 13 punti, il Venezuela con 14 punti, non si può certo dormire sugli allori.