Inchieste

AI, bussola per scovare dati scientifici

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di Eleonora Crisafulli

L’intelligenza artificiale può essere un’alleata per ricercatori e scienziati? «Assolutamente sì, preziosa e potente» risponde ChatGPT. L’interlocutore è di parte, ma la risposta non è errata. Tanto più che il chatbot di OpenAI “ci tiene” a precisare: «Non li sostituisce, ma li supporta, fornendo strumenti per affrontare sfide complesse».

Un esempio? Ogni anno si pubblicano milioni di articoli scientifici. Un numero in aumento: dal 2010 al 2020 le pubblicazioni sono passate da 1,9 a 2,9 milioni (dati National Science Foundation). Non è un caso che “publish or perish”, pubblica o muori, sia ancora oggi una delle frasi più diffuse nel mondo accademico. I motori di ricerca semantici possono aiutare i ricercatori a orientarsi tra le pubblicazioni e rimanere aggiornati sugli ultimi studi. Sono in grado di elaborare grandi quantità di dati, ordinare le informazioni, estrarre contenuti specifici.

«Un esempio è Semantic Scholar, che fornisce brevi riassunti degli articoli» spiega Giovanni Colavizza, professore di Media Engineering all’HEIG‑VD, in Svizzera, e ricercatore all’Alan Turing Institute di Londra. «Altri strumenti sono Consensus, Scite, ResearchRabbit o anche i più recenti agenti conversazionali (come ChatGPT), da usare però con cautela».

C’è di più. «Nella scienza oggi l’AI gioca un ruolo specifico come strumento per processare e analizzare dati, come ausilio alla ricerca di informazioni e, più raramente, come metodo per generare nuova conoscenza» spiega Colavizza.

«Nel campo dei beni culturali strumenti di AI permettono di estrarre e arricchire dati storici in modo automatico. Si pensi alla trascrizione dei manoscritti. Un bell’esempio è scrollprize.org». Il riferimento è a un gruppo di ricerca che è riuscito a individuare l’inchiostro sui papiri di Ercolano e ha lanciato una competizione che invita ricercatori di tutto il mondo a cimentarsi nel decifrare i testi grazie all’intelligenza artificiale.

Potenzialmente dirompente è l’AI per le nuove conoscenze. «Come AlphaFold, che ha permesso di accelerare la ricerca sulla struttura delle proteine». Nel 2022 l’intelligenza artificiale di DeepMind (società del gruppo Alphabet) è riuscita a creare un database di 200 milioni di proteine.

Ci sono ancora limiti da superare. «Gli errori che troviamo nei risultati delle AI, che necessitano di valutazioni sistematiche, o il problema delle “allucinazioni”, cioè informazioni plausibili ma false generate dagli agenti conversazionali» spiega Colavizza.

«La maggior parte delle applicazioni per la ricerca deve ancora convergere su prodotti davvero utilizzabili, oltre a prototipi». Ma questa può essere una buona notizia per chi fa impresa. C’è spazio per intraprendere e per affinare nuovi strumenti. «È il momento giusto, l’AI è il settore IT oggi più ricco di investimenti».