Inchieste

Cara casa, quanto mi costi?

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di Saverio Fossati

Cara casa, ma alla fine quanto mi costi? Quanto costa davvero avere un tetto confortevole sopra la testa, senza lussi né sfizi?

La questione nasce dalla corsa dei prezzi delle case nelle grandi città, che sta provocando, tra l’altro, la sempre più rapida espulsione dei meno abbienti, che vendono per realizzare un buon guadagno causando la “gentryzzazione” di zone un tempo popolari (come nell’area del futuro Parco Romana a Milano). E chi acquista deve disporre di capitali sempre più importanti.

Un esempio concreto

Proviamo a raccontare la storia di un bilocale di Milano, in piazza Insubria (semiperiferia, a 10 minuti dalla fermata della metropolitana) in uno stabile in buono stato degli anni Settanta. Metri quadrati commerciali 50, riscaldamento centralizzato e portineria a mezza giornata, classe energetica G, ingresso su disimpegno, soggiorno con angolo cottura, camera matrimoniale, bagno finestrato.

Infissi in doppio vetro, porta blindata. Esposizione singola. Insomma, la classica scelta per un single o una giovane coppia senza figli. Prezzo proposto: 275mila euro.

Consideriamo la situazione nel concreto. Difficilmente un giovane ha quella somma a disposizione, quindi investirà (con l’aiuto dei genitori) 125mila euro, chiedendo un mutuo ventennale a tasso fisso (Euribor) di 150mila euro. L’acquirente ha 32 anni e un lavoro a tempo indeterminato con un reddito netto mensile di 2mila euro. La rata mensile proposta (con Taeg a 3,50%) da vari istituti di credito si aggira sugli 860 euro, cioè circa 250 euro in meno di quanto dovrebbe spendere per affittare la stessa tipologia abitativa. La scelta sembra quindi ragionevole.

Certo il costo finanziario dell’operazione (cui aggiungiamo altri 25mila euro tra agenzia immobiliare, notaio, lavori e arredi) è pesante: 206.400 euro per il mutuo più (ipotizzando un’alternativa con un rendimento netto in titoli di Stato al 3%) 280mila per il capitale non investito. Insomma, tra vent’anni quella casa sarà costata quasi 500mila euro.

Cui vanno sommate spese condominiali straordinarie e ordinarie ed energetiche e tassa rifiuti con una media di almeno 4mila euro all’anno in base ai dati ella Cgia Mestre (e sono altri 100mila attualizzati dopo vent’anni). Considerato che si tratta di abitazione principale, di fatto non ci sono altre imposte (si spera anche nei prossimi vent’anni).

Quindi, in soldoni, un bilocale a Milano, in vent’anni, costerebbe 600mila euro, all’incirca come un affitto se considerassimo un’inflazione sopportabile del 2-3% e non certo quella attuale dell’8-10 per cento. La differenza fondamentale consiste nel fatto che a fine mutuo la casa, libera da ipoteche, avrebbe il suo valore. Ma quale?

Il rischio inflazione

È sempre più difficile ipotizzare la rivalutazione automatica di un immobile. Dal 2008, infatti, la dinamica dei “cicli immobiliari” si è interrotta e con essa la certezza che il valore della casa sarebbe salito coprendo l’inflazione e garantendo, nella peggiore delle ipotesi, almeno un 2-3 per cento in più. Certo, quanto meno nelle città maggiori, dal 2014 il numero delle compravendite è sempre salito, con l’eccezione del periodo della pandemia (2020-2021), i cui cali, però, sono già stati ampiamente riassorbiti.

Ma i valori non tengono assolutamente il passo con l’inflazione, anche perché la reazione del mercato immobiliare è sempre molto lenta. Non solo: consideriamo che lo stallo dei salari non permette di fare fronte a prezzi ancora più alti di quelli attuali.

Comprare casa
Comprare casa

Ed ecco che chi compra ora potrebbe trovarsi, medio termine, con una casa i cui ricavi in caso di rivendita sconterebbero un’inflazione forte, mentre sui vent’anni – sempre che la situazione economica non degeneri, impoverendo la middle class dei potenziali acquirenti – il recupero sull’inflazione potrebbe anche avvenire.

Del resto, la spirale inflattiva è strettamente connessa alla situazione geopolitica e gli strumenti solo “italiani” per contenerla come negli anni Ottanta sono ormai inservibili. Oggi non c’è neppure una scala mobile da abrogare.

Costi pesanti

Nell’esempio illustrato, quindi, emerge una fortissima onerosità dell’acquisto immobiliare, che viene digerita da chi compra solo perché è diluita nel tempo. In sostanza, il nostro single con 2mila euro di stipendio (e non è poco) spende circa la metà di quanto guadagna per avere un tetto dignitoso sopra la testa in città; se formasse una coppia con un soggetto che a sua volta avesse un impiego tutto diventerebbe molto più sopportabile, anche la nascita di un figlio rimetterebbe in discussione la soluzione abitativa, costringendo a un nuovo investimento per la famosa “stanza in più”.