Inchieste

Crociata Ue contro l’usa e getta: «Tessile duraturo e riciclabile»

Scritto il

di Barbara Millucci

Basta moda “usa e getta”. L’Europa bacchetta la fast fashion, a cominciare dai colossi come H&M, Zara e Topshop che propongono capi di bassa qualità, a prezzi ridotti ma con costi sociali e ambientali elevati, che contribuiscono al Climate Change. Secondo un report dell’Agenzia europea dell’Ambiente (Eea), ad oggi oltre «14 milioni di tonnellate di microplastiche si sono accumulate sui fondali marini del mondo, circa l’8% proviene da tessuti sintetici. Ogni anno sprofondano in mare tra le 200 e le 500mila tonnellate di microplastiche provenienti da abiti, camicie, pantaloni». Si sedimentano nei fondali e si trasformano in cibo per pesci.

La maggior parte delle microplastiche provenienti dai tessuti viene rilasciata durante il primo lavaggio in lavatrice e confluisce nelle acque reflue, che sono il canale principale attraverso cui le microfibre si disperdono nei nostri laghi, mari, fiumi. Le microfibre vengono però emesse anche durante la produzione di abiti e scarpe dalle aziende, e si disperdono, oltre che in acqua, anche nel suolo. Insomma il fast fashion, ‘colpevole’ di produrre capi con troppe fibre sintetiche, che vengono gettati via subito essendo a buon mercato, è tra i principali responsabili dell’inquinamento. L’Eea raccomanda l’uso di detersivi liquidi, più efficaci a basse temperature e non quelli in polvere. E caldeggia l’introduzione di filtri per le lavatrici in grado di limitare il rilascio di ‘plastica’ durante il lavaggio, dopo che la Francia, introducendo questo obbligo avrebbe ridotto il rilascio di microfibre fino all’80%.

La strategia europea (EU strategy for sustainable and circular textiles) è stata adottata per prevenire il rilascio di microplastiche, implementando produzioni più green e sostenibili e rendere così il settore più verde e resistente agli shock globali. Entro il 2030 prevede che «tutti i prodotti tessili immessi sul mercato dell’Ue siano durevoli, riparabili e riciclabili, in gran parte realizzati con fibre riciclate, privi di sostanze pericolose, prodotti nel rispetto dei diritti sociali e dell’ambiente». Il Consiglio dell’Ue va oltre e, nei negoziati sul regolamento Ecodesign, oltre a proporre un “passaporto digitale del prodotto”, che fornirà informazioni sulla sostenibilità ambientale dei manufatti, vorrebbe anche il divieto da parte delle aziende della moda di distruggere vestiti e calzature invenduti. Una pratica piuttosto comune tra i brand del lusso che distruggono gli stock indesiderati per evitare che finiscano nella contraffazione (Burberry ha bruciato 28 milioni di sterline di merce invenduta). Per l’approvazione della legge, dovremo comunque attendere il voto dell’Europarlamento.

Dove finiscono abiti usati?

I rifiuti tessili sono triplicati negli ultimi decenni. Ogni anno 6 milioni di tonnellate di tessuti, vengono scartati dai cittadini Ue, e solo un quarto di questa quantità viene riciclato. Sempre secondo Eea, il 46% dei prodotti tessili usati esportati dall’Ue finisce in Africa, in parte in discariche, il restante in Asia dove vengono riciclati in stracci industriali o imbottiture, oppure riesportati per il riciclaggio in altri Paesi asiatici o in Africa.

Chip negli abiti

Una soluzione arriva dall’Italia. «Nel mercato del lusso di seconda mano, la garanzia di autenticità è fondamentale» spiega Marina Fortunato, manager di VeChain, uno dei network di blockchain più popolari al mondo specializzato nel tracciare la filiera dei prodotti. «Abbiamo collocato chip in borse di lusso mentre nel fast fashion, con COS ed H&M, abbiamo tracciato, tramite un Qr code e un app, tutta la catena di produzione dei capi di abbigliamento, dalla tracciabilità delle fibre riciclate all’ origine del materiale. In questo modo si offre visibilità al brand in un nuovo mercato, finora inesplorato. Il marchio, infatti, conosce solo il primo acquirente. Non sa chi acquista a sua volta il bene su un sito dell’usato. In questo modo, la clientela si amplia e si incrementa anche il valore di un capo che incorpora nuovi valori sociali, ambientali, proprio come vorrebbe la Ue».