Inchieste

Fondi e tutor: i registi di un’impresa

Scritto il

di Laura Siviero

Le startup per partire, crescere e trasformarsi, fino ad ambire a diventare grandi hanno bisogno di capitali, accompagnamento e controllo. È il lavoro degli operatori intermedi, dagli Acceleratori ai Business Angel, fino ai fondi di Venture Capital, oltre che agli Incubatori e ai Competence Center e ai finanziamenti pubblici, con qualche distinguo.

Gli operatori intermedi

Nel mondo degli operatori intermedi bisogna vedere cosa ognuno di loro può fare e in quale momento. Gli incubatori e i Competence Center forniscono alle nuove imprese servizi, laboratori uffici e competenze. Per quanto riguarda il finanziamento, operazione a rischio degli investitori, nella filiera ottimale dei passaggi si entra con una raccolta family & friends, tra coloro che credono nel progetto. Si passa poi all’Acceleratore che fa un primo round di investimento e convalida che ci sia un team di fondatori che funzioni, che abbia le competenze e la forza di andare avanti e un piano strutturato con prototipi iniziali.

Un processo che può durare circa quattro mesi, con tappe forzate e contatti con molti esperti del settore. L’obiettivo è «laureare» la startup e portarla al livello successivo dei Business Angel, che serve per fare la prima validazione del prodotto sul mercato, il modello di business e il potenziale della squadra, cosa serve per portare clienti, cosa li fidelizza. Quando si hanno tutte queste metriche si passa al Venture Capital. Per il digital è necessario qualche anno e per gli altri ambiti anche cinque o sei. Via via che si sale nell’investimento, il rischio diminuisce. Nella fase di accelerazione le startup possono contare tra i 20 e i 150mila euro, con i Business Angel tra i 200mila e due milioni e arrivati al Venture Capital tra i due e i 15 milioni.

La specificità delle startup: disaccoppiare talento e finanziamenti

Punto di incontro tra talenti, professionalità e capitali di rischio per cercare, sempre attraverso l’innovazione, di trasformarsi in caso di successo, la startup nasce con l’ambizione di diventare leader di mercato. «A differenza dell’impresa tradizionale – spiega Gianmarco Carnovale, imprenditore seriale, ma anche investitore e advocate per il movimento startup nell’associazionismo – che si basa sulla ricchezza di famiglia, il modello star up è un disaccoppiamento della realtà imprenditoriale tra talento e finanziamenti. Si tratta di un’alleanza a termine, soprattutto quando si entra nel capitale professionale, perché un fondo ha un orizzonte di investimento e di disinvestimento, entra con un patto di uscita. Nel 95% dei casi di successo è la cessione a terzi che porta una dotazione patrimoniale importante e patrimonializza i dipendenti».

I dati del settore tra finanziamenti pubblici e privati

Secondo il report 2023 (riferito all’anno 2022) di Social Innovation Monitor (SIM), ci sono 237 acceleratori e incubatori attivi in Italia. Di cui il 55% a Nord, il 23% al Centro e il 22% tra Sud e Isole. Inoltre il 24% si dichiara esclusivamente incubatore, il 59% misto, incubatore e acceleratore e il 17% solo acceleratore. Ad oggi hanno incubato circa 3.600 startup con un fatturato stimato di circa 550 milioni di euro.

Le startup possono anche accedere a fondi di finanziamento pubblico come Invitalia con il programma Smart&Start. «Ad oggi Invitalia –specifica Bernardo Mattarella, ad dell’Agenzia – ha sostenuto 1.500 imprese innovative, ha consentito la creazione di 9.400 posti di lavoro e attivato 743 milioni di euro». È vero che per i finanziamenti di Invitalia non sono richieste garanzie, però vanno resi (a parte una piccola quota a fondo perduto se si investe al Sud) e le startup sono portate a richiederli solo quando sono sicure di poterli restituire.