Inchieste

Futuro ibrido tra formazione e lavoro

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di Antonio Dini 

Il 2023 è l’Anno europeo delle competenze, che ha come obiettivo di spingere ancora di più sull’apprendimento permanente delle aziende e dei singoli. Dopo la pandemia, che ha fatto fare un salto epocale nell’uso delle tecnologie, sdoganando i sistemi di e-learning, gli obiettivi della formazione permanente, il “lifelong learning” nato con il Libro bianco di Jack Delors e il trattato europeo di Lisbona del 2000, sono stati aggiornati pesantemente. Adesso, un quarto di secolo dopo, l’accento è sulla transizione verde e digitale attraverso il sostegno all’innovazione e alla competitività. Con la chiave del digitale per aprire la porta delle competenze.

«Dobbiamo investire molto di più nella formazione e nello sviluppo delle competenze. Dobbiamo farlo lavorando fianco a fianco con le imprese. Nessuno meglio di loro conosce i profili professionali di cui hanno bisogno», ha detto residente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

Gli obiettivi sono altissimi ma il punto di partenza in Europa è decisamente basso. Oggi più di tre quarti delle imprese europee dichiarano di avere difficoltà a trovare lavoratori con le competenze necessarie, mentre solo il 37% degli adulti intraprende regolarmente attività di formazione. L’indice di digitalizzazione europeo mostra che due adulti su cinque non dispongono delle competenze digitali di base. E le donne sono le più sotto-rappresentate: solo una su cinque è informatica e solo una su tre ha una laurea Stem (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica).

Quali sono gli strumenti per cambiare rotta?

«La pandemia – dice al Settimanale Maurizio Milan, presidente dell’Associazione italiana formatori (AIF) – ha portato a un cambiamento epocale. Smart working e formazione con l’online sono pratiche consolidate. Il cambio di mentalità ha sdoganato l’uso ibrido sia degli strumenti di lavoro che della formazione, in un contesto ricettivo che aveva già visto gli interventi governativi di Industria 4.0 e adesso i finanziamenti strutturali ed eccezionali degli ultimi anni».

Il lavoro e la formazione aziendale sono cambiati sempre di più con l’uso delle tecnologie digitali. L’uno ha bisogno dell’altra: il continuo cambiamento di paradigma lavorativo e la liquidità degli scenari aziendali nell’epoca di internet aprono alla necessità di un aggiornamento costante. Il digitale, che provoca il primo, rende più facile il secondo. Entrano in scena parole nuove: social learning, neurogaming. Lo stesso e-learning, aggiornato con l’intelligenza artificiale.

«In questa fase l’ufficio delle risorse umane – dice Milan – sta assumendo un ruolo centrale: da servizio ancillare a protagonista a fianco dell’amministratore delegato per disegnare il piano industriale. La “people strategy” delle grandi e medie aziende passa sempre di più dalle risorse umane».

Ma ci sono anche gli hub di sperimentazione delle università, che ibridano mondo della ricerca, accademico e aziendale. Si aprono le Academy aziendali. I luoghi stessi della formazione diventano diversi: da aule per una formazione frontale a quella fatta attraverso i device (smartphone, tablet) e sul campo, con un ruolo chiave del formatore, che diventa architetto di una formazione ibrida con tecnologie che consentono di calibrarla sulla singola persona.

Il web, infatti, è popolato di infinite possibilità di apprendimento. Siamo alla sovrabbondanza di informazioni: il problema oggi non è creare nuove lezioni ma le competenze delle persone per imparare ad apprendere da sole.

Uno dei temi centrali, infatti, oltre a quello delle tecnologie, è quello degli skill, delle competenze. Che deperiscono a vista d’occhio: non quelle di base, ma quelle specifiche di settore. A cinque anni dalla laurea, l’80% sono obsolete. Al di là dell’agenda europea per le competenze e delle raccomandazioni per lo sviluppo di microcompetenze, rimane aperta la strada ai cosiddetti soft-skill: caratteristiche più trasversali delle competenze tecniche (hard skill) che non invecchiano, che sono legate all’intelligenza emotiva e alle abilità naturali: autostima, capacità di adattamento, intraprendenza, capacità di lavoro di team. La lista è lunghissima, il problema è come fare a insegnarle.

«La selezione – dice Franco Amicucci, presidente di Skilla e autore di “Apprendere nell’infosfera” (Franco Angeli) – non si fa più con le competenze tecniche, che evolvono troppo rapidamente, ma con la valutazione della capacità delle persone di adattarsi, apprendere ad apprendere, risolvere problemi, avere pensiero critico, capacità di auto-imprenditorialità. La parola chiave adesso sono complessità, diversità, cambiamento».

L’intelligenza artificiale è uno dei fattori di cambiamento più importanti: «Consente di rivoluzionare il modo con il quale si crea la formazione per le persone – dice Amicucci – L’azienda non deve più organizzare corsi ma costruire ambienti di apprendimento dove la persona è protagonista e può trovare quello che gli è più congeniale». Un ecosistema fra intranet, piattaforme di e-learning, micro-contenuti via social, momenti di apprendimento in comune.

Internet apre la porta a decine di piattaforme diverse dove trovare contenuti per la formazione e modi per interagire, ma il digitale si sta modellando soprattutto grazie alla intelligenza artificiale. Al centro dell’apprendimento «per tutta la vita» c’è l’idea di contenuti calibrati su misura, da apprendere in maniera non lineare.

«Stiamo indagando – dice Milan – il ruolo del metaverso. La realtà immersiva ha un potenziale enorme, appena sfiorato. Che con l’AI si farà ancora più interessante. La formazione con la realtà aumentata permetterà di fare molte cose nuove».

Il nuovo mondo come sarà? Esempi di formazione vengono dall’estero. Dalle eccellenze finlandesi (per le modalità di formazione) e danesi (per il sistema che accompagna i cittadini per tutta la vita), scuola e formazione in Europa hanno preso forme molto diverse. In Italia, le eccellenze ci sono ma a macchia di leopardo: dirigenti illuminati e sperimentazioni brillanti sono porta a porta con approcci sterili e banali riproposizioni di modelli superati.

Ma ci sono anche vecchie idee che dimostrano di essere molto attuali. Le academy aziendali, lanciate dalla Eni di Enrico Mattei e dall’Olivetti degli anni Cinquanta e Sessanta, oggi vivono una nuova stagione d’oro: Comau, Illy caffè, la Apple Academy a Napoli sono solo tre esempi. Rispondono a bisogni del mercato formando le figure mancanti. Manca invece formazione nelle imprese con meno di 15 dipendenti (dove lavorano il 95% degli italiani) e per gli autonomi, soprattutto se al di fuori dei 25 ordini professionali riconosciuti dalla legge e nelle associazioni la cui lista è depositata al Cnel.

In questi ambiti di forte ritardo, l’intelligenza artificiale è quella che secondo gli esperti può scalare e riempire un vuoto di formatori in modo trasversale. Per adesso rispettando un bilanciamento già stabilito: 10% di apprendimento formale, 20% tra pari e 70% “on the job”, con un tutor o il responsabile che fa da mentore. Ma il futuro è la creazione di una differente cultura dell’apprendimento, in cui gli strumenti digitali sono fondamentali per abilitare nuovi metodi. O vecchi metodi ripensati.

«Leopardi con lo Zibaldone – dice Amicucci – era modernissimo, la sera andava a letto lasciando sette libri aperti, ognuno collegato all’altro, come oggi i ragazzi della GenZ lasciano aperti siti web, app e giochi. E poi era modernissima la Montessori, con un metodo di insegnamento basato su classi rovesciate: prima si sperimenta autonomamente, poi con il maestro-formatore si costruisce la lezione valorizzando le specificità di ciascun allievo, perché non siamo fatti tutti uguali. Sono i metodi che stiamo recuperando per la formazione di oggi e sono fondamentali».

Quando la formazione diventa uno sport di gruppo

Social learning. È la nuova parola chiave per chi si occupa di formazione professionale. Vuol dire formazione attraverso i social media, ed è un approccio alla formazione e all’apprendimento che sfrutta le piattaforme di social media per facilitare l’acquisizione di conoscenze e competenze. Si basa sull’idea che le persone possano apprendere in modo collaborativo e condividendo risorse, esperienze e informazioni attraverso la partecipazione attiva su piattaforme come Facebook, Twitter, LinkedIn, YouTube e molte altre.

Per funzionare, il Social learning si basa su alcuni concetti chiave. Il primo sono le “comunità di apprendimento”: grazie alla loro caratteristica “social” le piattaforme facilitano la nascita di ambienti interattivi in cui le persone possono connettersi, condividere e interagire tra loro. Le comunità di apprendimento, secondo gli esperti, fioriscono attorno a degli interessi comuni, attorno a professioni specifiche o a grandi temi come ambiente, sostenibilità e pari opportunità. Questi gruppi online sono un luogo sicuro per fare domande, condividere risorse, imparare a fare cose nuove. Un’attività fondamentale sono i contenuti generati dagli utenti: cioè i partecipanti che creano e condividono articoli, video, presentazioni e podcast realizzati da loro stessi.

Terzo elemento della ricetta di successo del Social learning è l’interazione e la possibilità di avere un feedback personalizzato. Da sempre Internet consente di interagire in tempo reale con le altre persone, ma i social aggiungono la possibilità di trovare la persona giusta a cui fare una domanda. Grazie ai commenti è possibile ricevere risposte da parte di esperti o di altri partecipanti più informati. Questo, secondo chi si occupa di didattica, favorisce l’apprendimento reciproco.

Un altro elemento che caratterizza la formazione tramite i social è il cosiddetto “microlearning”, ovvero l’apprendimento di piccoli pezzi di contenuto facilmente processabili. I post brevi, i video inferiori al minuto o le infografiche con due o tre concetti-chiave sono i formati con i quali permettere una fruizione rapida e informale dei contenuti.