Inchieste

Genetica assistita nei campi contro il meteo impazzito

Scritto il

di Roberta Favrin

In Piemonte, tra la Val Grande e il Lago Maggiore, c’è la più grande piantagione europea di tè. In Sicilia, tra le pendici dell’Etna e il mar Ionio, crescono gli avocado. In Calabria c’è chi coltiva banane, papaia e mango. Sono i frutti buoni del cambiamento climatico che, mentre spalanca le porte a nuove opportunità, espone il mondo agricolo a danni e incognite pesanti: temperature africane versus gelate e grandinate fuori stagione, siccità e alluvioni a distanza di pochi mesi. S’è visto di tutto negli ultimi due anni.

Coldiretti ha calcolato che solo in questa primavera 8 eventi al giorno tra nubifragi, grandinate, bombe d’acqua, trombe d’aria hanno colpito a macchia di leopardo la Penisola «con vittime e danni gravissimi come nel caso disastro in Romagna dove si stimano danni per 1,1 miliardi tra perdite produzione, ripristini fondiari, terreni persi e animali coinvolti». Così il 2023 che rischia di battere in negativo l’anno precedente, tra i più caldi del secolo, archiviato con perdite per 6 miliardi.

Uno studio recente di Bankitalia (ottobre 2022) ha stimato l’impatto dei cambiamenti climatici sulle rese agricole del mais, del grano duro e della vite, tra i principali prodotti agricoli italiani. Grafici alla mano, i ricercatori hanno documentato che temperature superiori a 28°-29° danneggiano le rese di mais e grano duro.

Il mais è vulnerabile sia al caldo estremo che alla siccità: la passata stagione è stata deleteria con cali medi dal 30 al 40%. In molte aree della Pianura Padana quest’anno tante aziende hanno rinunciato alla semina, altre si sono orientate a colture alternative come il sorgo. La vite resiste fino a 32° ma lo stress debilita la pianta che diventa più sensibile alle malattie.

La ricerca scientifica sta facendo passi avanti. «Abbiamo già in campo 10mila piante figlie di Glera (il vitigno del Prosecco, ndr) che hanno nel loro Dna più di 5 geni di resistenza a fitopatogenti come l’oidio o la peronospera e stiamo lavorando sulla flavescenza dorata», spiega Riccardo Velasco, direttore del Crea-Ve, il Centro per le ricerche in viticoltura ed enologia sotto l’egida del Masaf.

Si lavora sul Sangiovese in Toscana, il Primitivo e l’Aglianico del Vulture in Puglia, su Nebbiolo e la Barbera in Piemonte. L’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del Cnr, in collaborazione con il Crea, si è appena aggiudicato un finanziamento di Ager, il raggruppamento di diciotto Fondazioni di origine bancaria per le innovazioni nel comparto agroalimentare. Con il progetto Micro4life si indentificheranno microrganismi benefici che aiutino la pianta della vite e del riso a sopravvivere meglio nell’ambiente minacciato dal climate change, diminuendo la necessità di interventi da parte dell’uomo.

Non esiste la soluzione assoluta «ma il contributo di molte strategie in sinergia (biostimolanti, protocolli biologici, vitigni resistenti, genoma editing) ci potrà aiutare a raggiungere l’obiettivo europeo della Farm to Fork: ridurre del 50% l’utilizzo di pesticidi chimici», sottolinea Velasco.

Stretta nella morsa del meteo impazzito e dei regolamenti europei che impongono al settore primario la riduzione delle emissioni inquinanti, l’agricoltura chiede all’unisono politiche di contrasto al consumo di suolo, interventi decisivi contro la dispersione e a favore del recupero delle acque, la conversione in legge del Dl Siccità dove è stato inserito un emendamento che autorizza la sperimentazione in campo delle Tea, le Tecnologie di evoluzione assistita, a oggi consentita solo in vitro. Una svolta per il mondo dell’agricoltura, con l’Italia capofila a livello europeo.