Inchieste

Il sapore agrodolce della rivoluzione novel food

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di Roberta Favrin

Non è per tutti e non ha nemmeno la presunzione di piacere a tutti. Ciò nondimeno il novel food, che sia ottenuto in laboratorio o derivato da insetti, è figlio di un processo inarrestabile che lo porterà sulle tavole di milioni di consumatori. Direttamente o indirettamente, consapevolmente o meno.

Perché, come ricorda la Fao, con l’aumento della popolazione sul pianeta, 9,6 miliardi di persone stimate nel 2050, la domanda di prodotti lattiero-caseari e di carne crescerà rispettivamente del 74% e del 58% e la superficie agricola non basterà a nutrire il bestiame. Il cambiamento climatico complicherà ulteriormente le cose riducendo le rese delle colture da mangime che già ora occupano un terzo delle terre coltivabili.

Ecco perché la Commissione europea ha autorizzato l’immissione sul mercato di alimenti e mangimi contenenti verme da farina inferiore, larva gialla della farina, locusta migratoria o grillo domestico. Ecco perché si sta intensificando la ricerca sulla carne in vitro.

La filiera del cibo italiano, che vale oltre 600 miliardi di euro, quasi un terzo del Pil, è in pericolo?  Per ora le dimensioni del fenomeno solo tali da escludere che il novel food possa surclassare la tradizione agroalimentare tricolore e il suo giro d’affari. Le aziende italiane che operano in questo settore si contano sulle dita di due mani e lavorano per lo più a livello di ricerca, anche in attesa di capire che cosa accadrà del disegno di legge varato da Governo che detta regole più restrittive rispetto all’Europa e al resto del mondo.

Oltre confine, invece, la carne in vitro sta registrando investimenti da capogiro. Nomisma in un rapporto per Cia-Agricoltori Italiani parla di 1,3 miliardi già spesi: «Le aziende di riferimento a livello mondiale, tra laboratori e start up tra il 2016 e il 2022 sono passate da 13 a 117 e la produzione globale di carne in vitro si prospetta al 2030 in aumento fino a 2,1 milioni di tonnellate».

Secondo un’altra stima di Barclays, il giro d’affari della carne sintetica è destinato a raggiungere i 450 miliardi di dollari nel 2040, ossia il 20% del mercato globale della carne. La bistecca a base cellulare si consuma già a Singapore, la Food and Drug negli Usa ha sdoganato quella a base di pollo prodotta dall’americana Upside Food, Israele sta supportando la ricerca a livello mondiale con decine di milioni di dollari. In Europa? Pochi giorni fa, in un meeting a Bruxelles, l’Authority europea per la Sicurezza alimentare (Efsa), ha annunciato di non aver ancora ricevuto richieste di valutazione per alimenti derivati da cellule animali coltivate «ma prevediamo che arriveranno nei prossimi mesi e anni», ha dichiarato Wolfgang Gelbmann, responsabile scientifico nel campo dei nuovi alimenti.

Nel frattempo, un rapporto realizzato da Fao e Organizzazione mondiale della sanità ha individuato 53 rischi potenziali per la salute derivanti dalla produzione e dal consumo di carne coltivata in laboratorio: si va dalla trasmissione di batteri presenti nelle cellule prelevate dagli animali alla contaminazione microbica in fase di replicazione cellulare, dai fattori della crescita e dall’uso di ormoni usati nei bioreattori alle interferenze con il metabolismo umano, fino alle allergie generate dagli additivi utilizzati. Per il momento sono solo degli alert su cui focalizzare le prossime ricerche, prima di intraprendere una produzione massiva. «La ricerca deve andare avanti», dicono al Cibio dell’Università di Trento, dove è in corso l’unica sperimentazione a livello italiano (si veda il servizio a pagina 20).

È sotto i riflettori anche la cosiddetta fermentazione di precisione, che utilizza microrganismi. Israele è ancora in pole position: un mese fa ha autorizzato la Remilk a produrre il latte attraverso un processo di fermentazione a base di lievito che rende le proteine «chimicamente identiche» a quelle presenti nel latte di mucca. E diversi laboratori lavorano da tempo su uova e pesce (si veda a pagina 22).

Che succede in casa nostra? Per ora l’attenzione maggiore delle imprese pare concentrata sugli insetti. Italian Cricket Farm, in provincia di Torino, è la più grande insect farm in Italia, tra grilli, tarme della farina e caimani (larve di coleottero) utilizzate oggi per mangimi. La marchigiana Nutrinsect dichiara di voler realizzare il più grande impianto di allevamento di grillo domestico, in Europa, da destinare a food, mangime e agritech. Entrambe hanno richiesto l’autorizzazione alla produzione di novel food. Alia Insect Farm punta a costruire la filiera del grillo 100% italiana: allevato e poi trasformato in polvere atomizzata per le preparazioni più varie, dalla pasta al ciocciolato.

Il progetto, già al vaglio della Commissione europea, è costato tre anni lavoro tra ricerche scientifiche, prove di laboratorio e prototipi finalizzati esclusivamente alla confezione del dossier. «L’iter è molto complesso e si ferma ogni volta che viene richiesta un’integrazione, ma siamo fiduciosi di arrivare all’autorizzazione prima del 2025», spiega Carlotta Totaro Fila, fondatrice della start up innovativa agricola con sede a Milano.

Tecnologa alimentare con 15 anni di esperienza in multinazionali del food, ha stretto partnership scientifiche con le Università di Pavia e di Bergamo e ha già raccolto 10 soci. La caccia agli investitori è aperta e dall’industria alimentare sono arrivati segnali di interesse: la farina ricca di proteine ad alto valore nutritivo si presta a prodotti «buoni per il palato e per l’ambiente perché l’allevamento consuma molto meno terreno e acqua di quelli tradizionali», afferma Carlotta.

Secondo una ricerca dell’Università di Bergamo i potenziali consumatori non mancano: un italiano su tre è pronto alla sfida, si va dai giovanissimi ai manager abituati alle cucine del mondo. Nel futuro dei prodotti a base di insetti ha scommesso anche la vicentina Fucibo, che produce chips, sfogliatine di mais e biscotti contenenti farina di larva gialla. La confezione è affidata a piccole e medie imprese venete che al momento utilizzano la farina prodotta dalla francese Agrinutris, la sola ad oggi autorizzata dall’Efsa per questo novel food, insieme alla olandese Protix. I prodotti della Fucibo per ora sono in vendita online oltre che in alcuni supermercati del Veneto.

«Le grandi catene di distribuzione ci hanno chiesto campionature», dice Lorenzo Pezzato che ha fondato la società insieme a Davide Rossi. In attesa di vedere come si muoverà la legislazione italiana la società punta all’export verso Francia, Belgio, Germania e Spagna. La forza del brand made in Italy da spendere anche per il novel food.