Inchieste

Il vantaggio italiano nell’export durerà a lungo

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di Giuseppe Russo – Direttore Centro Einaudi

C’era una volta un Paese periodicamente afflitto dalla debolezza valutaria. Questa era dovuta alla cronica dipendenza dalle importazioni delle materie prime e in particolare di quelle energetiche. Le esportazioni non riuscivano a rimediare la dipendenza dall’estero, in ragione della scarsa competitività che esse mettevano in campo e del modesto valore unitario che riuscivano a spuntare sui mercati. Per questo, quando questo Paese volle far parte dell’euro fin dalla prima ora, i soliti Paesi “frugali” storsero il naso.

Quel Paese era precisamente l’Italia e i frugali che temevano che non avremmo meritato l’euro erano in particolare Francia e Germania. L’euro, si diceva, non si sarebbe più svalutato, e senza svalutazioni le nostre esportazioni fatte di beni standardizzati non ce l’avrebbero fatta. Avremmo imbarcato debito estero e il doppio debito, dato il “vizietto” del debito pubblico, ci avrebbe rispedito alla casella di partenza del gioco dell’oca. Invece, l’oca volò meglio di un gabbiano e meglio di qualsiasi frugale.

La propensione alle esportazioni, nel 2000 già superiore alla media europea, passò da allora ad oggi dal 20 al 30%, crescendo a una volta e mezza la sua base. Una prestazione che è riuscita a nessuno. La propensione ad esportare della Francia, per dirne una, era al 23 ed è al 25%.

L’euro ha fatto bene a tutti, non c’è che dire, ha accresciuto il commercio internazionale interno all’Europa, ma ha spinto soprattutto due Paesi: la Germania e l’Italia.

La Germania, però, in questo scorcio di anno, non va altrettanto bene. Il suo Pil è già in recessione tecnica (-0,2%) da un trimestre, proprio perché il calo del commercio internazionale ha colpito le sue esportazioni, che sono fortemente cicliche e piuttosto legate sia ai Paesi dell’Europa orientale che alla Cina, che sono in questo momento le zone del pianeta in affanno congiunturale.

L’Italia, viceversa, cresce dello 0,5% e ha scelto direzioni del suo commercio in uscita più tradizionali: esporta di più verso i Paesi del Golfo, verso gli Stati Uniti, verso la stessa Germania, e anche verso i Paesi asiatici. A differenza della Germania, che ha un export particolarmente orientato alla vendita dei beni tecnologici, l’Italia ha un mix assai più bilanciato di esportazioni di beni produttivi, finali e intermedi, e beni di lusso e prodotti enogastronomici. Insomma, la migliore diversificazione delle esportazioni italiane ci protegge dalle onde cicliche più di quanto sia protetta, per esempio, la Germania, che è considerata un campione.

Ci sono altri tre motivi di forza delle esportazioni italiane, che in questo momento stanno mantenendo viva la ripresa del Pil italiano, sia pure leggera, insieme ai consumi.

  1. Il primo è il risveglio di tutti i territori, anche di quelli tradizionalmente indietro. Nel 2000, per dirla tutta, centro, sud e isole producevano solo il 26% delle esportazioni totali, adesso siamo al 30%. Guadagnare una quota di mercato di 4 punti in una dinamica che cresce di una volta e mezza significa che le esportazioni del sud e del mezzogiorno sono cresciuti assai più della media, che è già record in Europa.
  2. La seconda singolarità è l’organizzazione territoriale dei distretti industriali. L’organizzazione in distretti produce vantaggi stabili, ossia le esternalità di distretto, più lentamente di quanto possano emergere quelle dovute alle economie di scala nelle economie caratterizzate da grandi imprese. Ma una volta che si affermano, le esternalità di distretto sono piuttosto stabili e non soggette ai capricci di mercato. L’organizzazione in distretti spinge quasi sempre l’export, per penuria della domanda interna necessaria a saturare l’offerta dei distretti. Dopo la pandemia, l’export dei distretti italiani è infatti rimbalzato superando già nel 2021 i livelli pre-pandemici. Nel 2022 hanno fatto segnare un valore mediano della crescita intorno al 17 per cento. Una delle ragioni della forza dell’export dei distretti è avere puntato sulla qualità e riconoscibilità dei prodotti e questo ha favorito un aumento del valore unitario del prodotto, come dimostra la tabella degli indici del valore unitario delle merci esportati elaborata dalla World Bank (qui a fondo pagina).
  3. La terza ragione è la competitività delle medie imprese. L’organizzazione industriale italiana ha sostituito qualche decina di grandi imprese con qualche migliaio di medie imprese. A parte l’evidente vantaggio di riduzione del rischio di fluttuazione, le medie imprese hanno tassi di crescita della produttività, e quindi della competitività, paragonabili a quelle tedesche e giapponesi e sono una cinghia di trasmissione della domanda internazionale verso le Pmi assai più efficace di quella che potevano offrire le poche grandi imprese.

Quando si trattò di entrare nell’euro, la Banca d’Italia spingeva per introdurre una disciplina valutaria che avrebbe selezionato imprese più efficaci a competere nel mercato mondiale. Non è stato solo merito dell’euro, ma un certo vantaggio di quantità, un vantaggio di gamma, di contenuto tecnologico, di diversificazione territoriale e di valore unitario le esportazioni italiane se lo sono costruito, e sono in testa all’Europa.

Nel 2022 la crescita delle esportazioni, che in totale arrivarono a 613 miliardi, fu davvero record. Nel 2023 il commercio mondiale dovrebbe crescere dell’1,7%, secondo stime aggiornate della WTO. Secondo l’elasticità mostrata negli ultimi due anni, la crescita delle esportazioni italiane potrebbe quindi sorprendere ancora una volta e superare il 2,5%, anche perché c’è ancora spazio da recuperare nella parte di Italia che esporta ancora troppo poco.

Considerando pure l’inflazione, arriveremo a 645 miliardi? Probabile. Non ce ne vorranno i frugali se, per ovviare a debolezze storiche. in venti anni abbiamo messo a punto una macchina da esportazioni superiore a quella di ogni altro Paese europeo, oltre tutto diversificata e con una riserva inespressa ancora da giocare.

Con i tassi in salita e il rallentamento, obbligatorio, dell’edilizia, la domanda del resto del mondo sarà la benzina del nostro motore, e come prima del 2000 lo svantaggio italiano era strutturale, così nel 2023 il vantaggio italiano è strutturale. Ci accompagnerà per molti anni.