Inchieste

Le opportunità della deglobalizzazione

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di Aleksandra Georgieva

L’Italia può beneficiare del progressivo trasferimento delle produzioni industriali dalla Cina, ritenuta non più affidabile dopo i continui lockdown. In occasione del World Economic Forum 2023, intitolato “Cooperation in a fragmented world”, tenutosi a Davos dal 16 al 20 gennaio, abbiamo incontrato Alberto Forchielli, imprenditore ed opinionista, per fare il punto sui grandi temi di quest’anno, ovvero la cooperazione in un mondo sempre più diviso e il ricollocamento della produzione manifatturiera, che si sposta dalla Cina verso nuove mete orientali e occidentali. Quali potrebbero essere i nuovi “hub” della manifattura globale, e le opportunità per l’Italia e l’Europa nel nuovo contesto geopolitico?

Dopo i continui lockdown in Cina, il Paese non è più considerato un hub affidabile. Dove si sposterà la manifattura globale, secondo lei?

Nei Paesi più vicini alla Cina, direi in primis Vietnam e India. In secondo luogo metterei Malesia, Thailandia, Indonesia e Filippine.

Ma questi Paesi hanno le competenze tecniche per diventare un hub manifatturiero globale?

No, non le hanno. Bisogna distinguere tra la fase di assemblaggio e la produzione della componentistica. Per quanto riguarda l’assemblaggio si può parlare di sufficienza. Mentre, per quanto riguarda la costruzione dei componenti, la Cina rimane molto forte; quindi il rischio di approvvigionamento nei confronti di Pechino rimarrà per ancora una decina d’anni.

In questo contesto, quali sono le prospettive per lItalia e lEuropa? Vale la pena riportare la produzione a casa, considerando i costi dellenergia superiori al resto del mondo?

Riportare le produzioni in Italia e in Europa non è così facile, per quanto ci siano già stati dei segnali incoraggianti. Teniamo presente che i costi di trasporto sono elevati e sono destinati a rimanere alti nel futuro. Ci vogliono diverse settimane per approvvigionarsi dalla Cina, per cui il “timing” non funziona. E poi ricordiamoci che la Cina è destinata ad avere un’impennata nel costo del lavoro, soprattutto i costi del lavoro industriale. Nel Paese asiatico ci sarà una carenza straordinaria di operai. Le nuove generazioni sono composte di quattordici milioni di persone. Cioè sono quattordici milioni i giovani di una certa fascia sociale: 12 milioni sono destinati a laurearsi, per cui rimangono solo due milioni per i lavori manuali. C’è una forte disoccupazione giovanile a livello di laureati e nello stesso tempo una grande richiesta di operai e braccianti agricoli. E direi che questa tendenza, ovvero lo spostamento verso i lavori più sofisticati, sarà sempre più forte. E proprio per questo, nel prossimo decennio, aumenterà notevolmente il costo del lavoro in Cina. Di conseguenza, la produzione verrà riallocata in Paesi vicini a Pechino e in Europa. L’Europa, nello specifico, si prenderà il settore tessile, legato alla moda, nonostante gli elevati costi dell’energia. Secondo me questa situazione rappresenta una grande occasione per il Vecchio Continente.

LItalia potrebbe essere una meta attraente per la manifattura globale?

Il Mezzogiorno potrebbe essere attraente, i costi sono bassi e perciò l’Italia è interessante. In Italia ci sono sia le competenze che i talenti. Il Paese si qualifica per potere riprendere gli investimenti di reshoring. Non c’è dubbio.

LItalia ha il know-how necessario per poter sostituire la Cina?

Sostituire la Cina è molto difficile, perché è molto grande. Però l’Italia può intercettare alcuni flussi: i talenti e la capacità tecnica ci sono. Non tanto nell’elettronica raffinata, dove siamo meno competitivi, per quanto a Catania abbiamo la società produttrice di semiconduttori STM, che impiega migliaia di persone. Anche al Sud esiste un serbatoio di risorse di alto potenziale. Esiste la possibilità reale di un travaso di competenze per poter sostenere investimenti importanti nel settore dei chip. Sembra che Intel voglia fare un investimento di 5 miliardi di euro in Veneto, per costruire una nuova fabbrica di chip. La multinazionale americana ha scelto la cittadina di Vigasio, a sud di Verona, come sito per la nuova fabbrica. Non sembra che ci sia un problema di risorse in Veneto visto che hanno trovato la manodopera adatta per il progetto di Intel.

Crede che possa esserci una reazione da parte della Cina in merito al ricollocamento della manifattura globale?

No, la Cina aumentando i costi di lavoro è consapevole che gran parte delle produzioni si sposterà all’estero. Anzi, Pechino aiuta le imprese a portar fuori la produzione, perché di fronte alla scarsa disponibilità di manodopera e di fronte alla politica interna di aumentare sempre di più il valore aggiunto delle produzioni, asseconda questo processo, non lo combatte.

Come vede gli equilibri geopolitici da qui a dieci anni?

Molto fragili. Non c’è dubbio che la Cina si voglia imporsi come potenza egemone in Asia, ma così va in rotta di collisione con gli Stati Uniti. Il rischio di conflitto legato alla questione Taiwan è serio. Taiwan e le posizioni americane sulla questione sono problemi imprescindibili per i cinesi. Quindi vedo gli equilibri geopolitici molto fragili, destinati a peggiorare. I rischi di uno scontro tra Cina e Stati Uniti sono molto elevati.