Inchieste

Pensione integrativa, donne e giovani mancano all’appello

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di Saverio Fossati

Un italiano su tre ormai partecipa a un fondo pensione, più o meno volontariamente, e può contare su un capitale accumulato di 213 miliardi. Lo sviluppo di una previdenza complementare diretta alla generalità dei lavoratori ha origine all’inizio degli anni ’90, quando è diventato chiaro che il sistema previdenziale, soprattutto a causa del rapido innalzamento delle aspettative di vita e della massa di pensionamenti anticipati decisi dai Governi di quegli anni, non ce l’avrebbe fatta.

La nascita dei fondi pensione

Vennero così avviati i fondi pensione complementari,  fino ad allora riservati a una fascia ristretta di lavoratori, di reddito medio-alto (non più del 3 per cento dei lavoratori). Tra il 1992 e il 1993 fu varata una prima disciplina complessiva del sistema di previdenza complementare e con la Legge 335 del 1995, in parallelo alla riforma strutturale del sistema previdenziale pubblico (quella che introdusse in sistema contributivo, cioè legato a quanto effettivamente versato, al posto del sistema retributivo, che partiva dagli ultimi stipendi per determinare la pensione), si introdussero rilevanti incentivazioni fiscali per la previdenza complementare privata. Seguì l’istituzione della Covip come Autorità dotata di personalità giuridica e la predisposizione dell’apparato di normativa secondaria necessario per l’avvio del nuovo sistema. I primi fondi pensione negoziali iniziarono la propria attività a partire dal 1999. E venne stabilito il conferimento per legge ai fondi pensione dei flussi di Tfr, salvo esplicito dissenso dei singoli lavoratori.

I numeri di oggi

Sulla base di stime preliminari, alla fine del 2021 il totale degli iscritti alla previdenza complementare ha raggiunto quota 8,8 milioni. In percentuale delle forze di lavoro, il tasso di partecipazione si è attestato a circa il 34 per cento. Non solo: al numero di iscritti ai fondi pensione nel nostro Paese corrisponde un totale di posizioni in essere a fine anno di circa 9,7 milioni, comprendendo anche le posizioni doppie o multiple che fanno capo allo stesso iscritto. Gli iscritti che nel 2020 non hanno effettuato versamenti contributivi sono 2,2 milioni; di questi, un milione non versa contributi da almeno cinque anni.

Alla fine del 2021 l’offerta di strumenti di previdenza complementare, come attesta l’audizione della Covip in Parlamento del maggio di quest’anno, si compone di 349 forme pensionistiche: 33 fondi negoziali, 40 aperti, 72 piani individuali pensionistici (PIP) “nuovi”, 204 fondi preesistenti. Il numero delle forme pensionistiche operanti nel sistema è andato progressivamente riducendosi per effetto di operazioni di concentrazione, soprattutto nel settore dei fondi preesistenti. Le posizioni in essere presso i fondi pensione negoziali sono circa 3,5 milioni; quelle aperte presso i fondi aperti sono 1,7 milioni e quelle presso i PIP “nuovi” 3,6 milioni; circa 650.000 sono le posizioni dei fondi preesistenti e circa 320.000 quelle aperte nei PIP “vecchi”.

Il fenomeno, spiega la Covip,  «è da considerare con favore, in quanto consente di realizzare miglioramenti di efficienza ed economie di scala che possono tradursi in riduzioni dei costi e in innalzamento della qualità della gestione e dei servizi offerti agli iscritti. I più elevati standard in termini di organizzazione interna introdotti dalla Direttiva (Ue) 2016/2341 (cosiddetta IORP II), uniti all’azione di stimolo della stessa Covip, spingono il sistema a ulteriori razionalizzazioni».

A fine del 2021 si stima che le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari hanno superato i 213 miliardi di euro: il 12% del Pil e il 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane.

Non mancano comunque criticità, come ha sottolineato il presidente della Covip Mario Padula, tra cui i mutamenti del contesto macroeconomico e sociale. A cominciare dall’allontanamento di giovani, donne e lavoratori del Mezzogiorno, ovvero dei soggetti più fragili sul versante occupazionale, dalla prospettiva delle scelte di lungo termine, come quelle sul terreno della previdenza complementare.

Gli investimenti…

Gli investimenti dei fondi pensione (escluse le riserve matematiche presso imprese di assicurazione e le risorse dei fondi preesistenti interni a enti e società) erano allocati per il 56,1% in obbligazioni e altri titoli di debito. Di questi, il 17,5% erano titoli del debito pubblico italiano. Il 19,6% degli investimenti consisteva in titoli di capitale, mentre le quote di OICVM (Organismo di investimento collettivo in valori mobiliari) erano pari all’11,9%. I depositi si attestavano al 7,5%. Gli investimenti immobiliari costituivano il 2% del patrimonio.

Nell’insieme, il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana era di 38,6 miliardi, il 23,8% del patrimonio. I titoli di Stato ne rappresentavano la quota maggiore, 28,4 miliardi di euro.

… e quanto rendono

Il rendimento netto medio annuo composto (per il periodo 2012-2021), al netto dei costi di gestione e della fiscalità, è stato del 4,1% per i fondi negoziali e del 4,6% per i fondi aperti; nei PIP si è attestato al 5% per le gestioni di ramo III e al 2,2 per quelle di ramo I. Su analogo orizzonte temporale la rivalutazione annua composta del TFR è stata dell’1,9%.