Inchieste

Quando il reshoring è anche finanziario

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di Paola Guidi

 Tra le tante forme che assume il fenomeno del reshoring c’è anche quello finanziario, con un crescente numero di imprese che si riappropriano del controllo dopo aver aperto negli anni passati a soci stranieri.

E’ il caso della Ave SpA, la prima azienda a produrre materiale elettrico nel nostro Paese e che la famiglia bresciana Belli aveva fondato nel 1904. Il Gruppo Finbel della famiglia stessa, con proprie risorse grazie a una ininterrotta crescita, ha riacquistato quel 25% che aveva ceduto alla multinazionale franco-tedesca Hager vent’anni fa. Un’operazione d’impatto supportata da un legame affettivo con il territorio e da una mai tradita vocazione manufatturiera di qualità, certificata da numerosi brevetti e da riconoscimenti internazionali. Cinque generazioni, una crescita nel 2022 del 9% per cento sul 2021, anno peraltro con risultati record, un fatturato Italia di 43 milioni di euro e per l’intero gruppo di 50 milioni, grazie a esportazioni in 70 Paesi.

«Ce l’abbiamo fatta – ha dichiarato a Il Settimanale Emanuele Belli, che guida l’azienda insieme al fratello Tommaso e al padre Alessandro, l’attuale presidente – è stata un’operazione di orgoglio che preparavamo da tempo. Molto difficile, quasi una guerra perché il gruppo Hager aveva più volte cercato di ottenere il controllo dell’intero capitale dell’azienda nonostante la nostra opposizione. Vent’anni fa mio padre aveva concluso l’accordo per l’entrata in minoranza della società franco-tedesca, per rafforzare l’azienda con un partner internazionale, mantenendone però sempre il controllo».

Hager è un gigante del comparto delle installazioni elettriche e elettroniche per l’edilizia, con un fatturato da 2,6 miliardi di euro. «Abbiamo resistito e grazie agli investimenti e alla crescita che ha visto un raddoppio della nostra cifra d’affari in pochi anni, la Hager ha desistito solo di recente dai tentativi anche ostili di controllare l’azienda».

È stato, quello della famiglia Belli, un percorso costruito nel tempo: rilanciare il brand come simbolo del made in Italy di qualità e di prestigio coniugando design e tecnologia, brevetti e ricerca estetica. Raccogliendo riconoscimenti come quello del 2016 quando è stata inserita tra le 100 eccellenze italiane e tra le “imprese vincenti” da parte della banca Intesa San Paolo, o la vincita del Compasso d’oro, il massimo traguardo dell’innovazione e del design.

Quello che viene venduto è da decenni materiale elettrico ed elettronico che proviene da fabbriche delocalizzate da aziende europee e italiane in Asia, e in gara su chi offre listini sempre più stracciati. La Ave invece ha sempre mantenuto le linee produttive in Italia, a Rizzato, puntando qualità e affidabilità, driver che potrebbero rivelarsi decisivi in una fase di continui rincari dei prodotti e forniture irregolari: «Abbiamo una solo fabbrica fuori Italia, in Tunisia – sottolinea Alessandro Belli – ma per servire il mercato in crescita del Nord Africa». Fa parte integrante di questo percorso considerare sin dal dopoguerra l’innovazione come progetto di sintesi tra forma e funzione, affidandosi a designer innovatori come Giò Ponti, Makio Hasuike, Andries van Honck, negli anni in cui il ricorso al design era circoscritto al mondo dell’arredamento. Altro snodo fondamentale del percorso più che centenario della Ave sono i brevetti, che connotano addirittura prodotti “poveri” come le prese elettriche.

I 50 milioni di fatturato non si raggiungono solo fabbricando interruttori ma allargando progressivamente il catalogo dal residenziale al contract, agli hotel, allo yachting e soprattutto passando dall’impianto tradizionale a quello smart sino alla raffinatissima serie di comandi contactless, tra i primi al mondo a ridurre il contatto fisico per un’igiene completa.