Inchieste

Recessione? Il peggio deve venire

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di Mariarosaria Marchesano

Occorre lottare contro l’inflazione, ma la priorità in queste settimane è assicurare liquidità ai mercati accantonando parzialmente e temporaneamente la strategia di rialzo dei tassi. Questa strategia dovrebbe riprendere con grande vigore una volta scongiurati i pericoli di una crisi sistemica.

Antonio Mele, ordinario di finanza all’Università della Svizzera italiana (dopo 10 anni alla London School of Economics), vive e insegna nel cuore della Confederazione elvetica finita nell’occhio del ciclone per la grave crisi di Credit Suisse.  Il piano di salvataggio messo a punto dalle autorità prevede l’acquisizione da parte della principale concorrente Ubs e una gigantesca iniezione di liquidità della Banca nazionale svizzera. All’erta sono anche le istituzioni europee per i timori che il contagio si possa estendere al sistema bancario nel suo complesso, mentre sui mercati finanziari si respira grande nervosismo. È in questo contesto che la Bce, nella riunione del 16 marzo, ha deciso di alzare il costo del denaro di altri 50 punti base portando il tasso di deposito al 3,5%. Ma la percezione degli effetti delle crisi bancarie sulle due sponde dell’Atlantico sta diventando via via più seria. E qualcosa potrebbe cambiare.

Professore, crede che il caso Credit Suisse possa influenzare il futuro della politica monetaria in Europa?

È un evento da cui non si può prescindere. Ma non partirei da questo.

E da cosa?

Dal fatto oggettivo che l’unico modo che hanno le Banche centrali di combattere l’inflazione è aumentare i tassi e di aumentarli anche più dell’inflazione stessa perché solo così si raffredda l’economia. L’inflazione è una brutta bestia e non possiamo permetterci che sfugga di mano.

Questo principio vale anche in Europa, che soffre più di un’inflazione da offerta che da domanda?

Questo principio è valido sempre, al di là di quale sia l’origine dell’aumento incontrollato dei prezzi. Solo che dobbiamo accettarne le conseguenze. Per certi versi la situazione ricorda un po’ quella degli anni Ottanta quando l’allora governatore della Fed, Paul Volker, effettuò un drastico rialzo dei tassi per tenere a bada l’inflazione in America. La conseguenza fu una crisi delle banche di deposito e risparmio che venne poi risolta con un salvataggio, a carico dei contribuenti, di oltre 150 miliardi di dollari.

Questo perché l’aumento dei tassi si riflette sulle attività finanziarie più fragili, giusto?

Esatto, è quello che accade. Solo che rispetto agli anni Ottanta oggi viviamo in un mondo più “finanziario” e la grande domanda è se possiamo permetterci quel tipo di conseguenze. In pratica, bisogna contemperare l’obiettivo della stabilità dei prezzi con quello della stabilità finanziaria.

La politica di Volker provocò anche una recessione…

È inevitabile, anzi è quello che le Banche centrali devono provocare se vogliono combattere l’inflazione. Per questo dico che la politica monetaria deve essere accompagnata da un’adeguata politica fiscale. In Europa i governi devono poter intervenire a sostegno delle famiglie. Penso a misure che possono attenuare l’impatto dei tassi sulle rate dei mutui e che possono integrare i redditi dei più fragili.

Quanto tempo ci vorrà finché la stretta monetaria in Europa abbia effetto sull’economia? 

Ci vuole un po’ di tempo, anche 9-12 mesi. In Italia ancora non stiamo vedendo l’impatto della stretta monetaria della Bce.

Dobbiamo attenderci, dunque, una recessione?

Direi che il peggio deve ancora venire.

Lei, quindi, dice che è giusto aumentare i tassi ma dice anche che questo costituisce un pericolo. Non le sembra una contraddizione?

Ci troviamo di fronte a un’equazione con molte incognite. Forse è la prima volta nella storia che si verifica una condizione simile. Le Banche centrali devono combattere l’inflazione, ma questo avrà delle conseguenze non solo di tipo recessivo ma finanziario.

Chi rischia di più?

Le banche gestite male.

Quelle dell’Eurozona a quanto pare sono meno esposte e più solide grazie a regole di vigilanza più severe, ma esiste un tema di fiducia sui mercati. Non è così?

Se fossi la Bce starei molto attento a seguire gli sviluppi di Credit Suisse, che per dimensioni e tipo di attività è una banca sistemica. Un suo tracollo potrebbe avere effetti a catena.

Quindi?

Quando si avrà la certezza che la crisi Credit Suisse è arginabile, si può andare avanti con la lotta all’inflazione promuovendo il più possibile un mix di politica monetaria e fiscale in modo da attutire l’impatto sulle famiglie. Se, invece, diventa ingestibile, allora converrebbe essere più cauti con i tassi dando la priorità alla stabilità finanziaria. Non è una situazione facile e in ogni caso è inevitabile un’azione coordinata tra Banche centrali, come in parte sta già avvenendo. In particolare, Bce e Fed devono parlarsi di più.