Inchieste

Rivoluzione continua sul web: ora l’utente è creatore attivo

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di Laura Siviero

C’era una volta il fattore K, il metro di misura dei social, per decretare chi meritasse l’appellativo di influencer e chi no. Il numero di like (e quindi di euro) che ha fatto la fortuna (o la sfortuna) di chi si è lanciato in quel settore, postando foto di tutta la sua “comune” esistenza, alimentando la curiosità e l’interesse della rete.

Fattore K che ha stravolto il modo in cui le aziende erano abituate a sponsorizzare i loro prodotti e influenzare il mercato.

Oggi il numero di like non basta, ci vuole empatia, l’influencer diventa co-creator con lo scopo di trainare e raccogliere i dati dei suoi follower per restituire un buon servizio alle imprese.

La rete non si ferma. Siamo di fronte a una nuova rivoluzione di Internet e dei social.

Con il Web3, i dati non saranno più custoditi su server dislocati rispetto al loro proprietario ma, sfruttando il principio della Blockchain, torneranno ad appartenere a ognuno di noi. Una rivoluzione che rimette al centro la persona e la sua privacy e democratizza la creazione di contenuti.

«Trovano spazio in questo cambiamento i micro-influencer, figure specializzate, meno generaliste e più tematiche – spiega Giampaolo Colletti, tra i principali esperti italiani di marketing e comunicazione, nel suo libro “Siamo tutti influencer” – Gli utenti diventano creatori attivi della rete. Emergono piattaforme come Tik Tok, Minecraft e Roblox che sfruttano l’interazione con gli utenti in qualità di creatori attivi».

Un cambiamento che premia l’autenticità, la competenza, la capacità di emozionare, di interagire con gli utenti. Diventano gestori di nicchie, di tribù e sottotribù, che se interpellate si possono trasformare in nuove chiavi di business.

«Non sono più i like che contano – spiega Andrea Ganzaroli, professore associato in Marketing digitale, all’Università di Milano – ma gli influencer devono sapere alternare contenuti generici a contenuti sponsorizzati. Essere collettori di dati, in grado di profilare al meglio i propri utenti, spostare la loro attenzione dal proprio social a quello dell’azienda. Figure nuove, più competenti, più specializzate».

Non tutti i settori sono già pronti a cavalcare le nuove frontiere del marketing.

«Ambiti come il design, più avvezzo a investire in social media, riescono a trainare le loro Pmi, a investire e trarne profitti – prosegue Ganzaroli – altri, come il settore del vino, meno abituato al mezzo social, trovano più difficoltà. Ma le opportunità di raccogliere dati e raggiungere nicchie specializzate porta ritorni maggiori, proprio perché la pubblicità diventa ancora più targettizzata».

In un processo di co-creazione che non coinvolge più solo l’influencer ma direttamente il cliente e la sua tribù.