Inchieste

Scuola, non decollano gli istituti professionali

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di Laura Siviero

La formazione professionale in Italia non convince. Neanche il ministro Valditara, che infatti vuole rimetterci mano, nonostante l’ultima riforma di questo ordine di studi sia del 2017. In effetti i dati del ministero dell’Istruzione e del merito lo confermano: gli italiani restano umanisti, anche se il mondo va verso le Stem.

Le iscrizioni (dati Miur 2022) ci dicono che in Italia gli studenti (o le famiglie) preferiscono ancora il sistema liceale e snobbano l’istruzione tecnico-professionale.

Mentre i tecnici tengono con il 30% in lieve ascesa rispetto all’anno precedente, gli istituti professionali segnano un 12% di iscrizioni e non riescono a sfoderare il loro appeal, nonostante i nuovi percorsi abbiamo nomi molto più up to date del passato: dal Made in Italy al design, dai servizi commerciali ai servizi culturali per lo spettacolo.

Sono 11 i percorsi oggi a disposizione, durano cinque anni e dovrebbero preparare alla professione scelta, anche grazie a 210 ore di Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, la vecchia alternanza scuola- lavoro).

Chi non è interessato al canale dell’istruzione quinquennale, può optare per un percorso professionalizzante di tre anni, gestito dalle Regioni e in mano alle agenzie formative. Percorsi pensati per andare incontro alle peculiarità della lunga e diversificata Italia, che vede qui il tessile, là i rubinetti, la pasticceria, l’oreficeria o l’artigianato locale.

All’estero si muovono diversamente.

La Germania è nota per il suo sistema di formazione professionale duale altamente sviluppato. La formazione professionale è molto valorizzata e supportata da forti legami tra scuola e impresa. Nei Paesi Bassi, l’istruzione e la formazione professionale sono fortemente integrate. Il sistema di apprendistato è ampiamente diffuso e prevede una combinazione di apprendimento teorico e pratico sul posto di lavoro. La Svezia, neanche a dirlo, pone un’enfasi significativa sull’apprendimento permanente e sulla formazione professionale lungo tutto l’arco della vita. Anche le scuole francesi comprendono istituti professionali, apprendistati e programmi di formazione continua e le imprese svolgono un ruolo attivo nella definizione dei programmi formativi per soddisfare le esigenze del mercato del lavoro.

Che siano usciti dal canale di istruzione tecnica, professionale o dai percorsi professionalizzanti regionali, i giovani, anche in Italia, sono richiestissimi e mai sufficienti, ma le aziende lamentano una impreparazione sia “disciplinare” (spesso le materie studiate non sono coerenti con le necessità delle aziende), sia delle soft skill, come la capacità di lavorare in gruppo, di cercare la mediazione, di arrivare puntuali e saper stare sul posto di lavoro.

Le imprese raccontano che spesso i ragazzi al primo rimprovero vanno via pensando di non essere in grado di svolgere quell’incarico.

Il governo punta sul modello ITS per il post diploma

L’offerta formativa professionalizzante continua post diploma. I percorsi universitari sono accessibili anche dai canali dell’istruzione tecnica e professionale, a questi si aggiungono i percorsi di 62 Fondazioni ITS (Istruzione tecnica superiore) di due anni dove per il 40% delle ore si lavora in azienda e il resto si studia in classe con docenti che provengono dal mondo del lavoro.

Un sistema di Academy (questa volta non aziendali, ma ancora una volta in capo alle agenzie formative) che registra un job placement a sei mesi del 95%. Possono contare su 48,3 milioni i fondi statali stanziati nel 2022, di cui la quota dell’1,8% (870mila euro) è riservata alle misure nazionali di sistema, che comprende monitoraggio e valutazione, la fornitura di diplomi, le azioni di orientamento e i progetti di supporto alla diffusione a tutti gli Istituti Tecnologici Superiori di attività che favoriscano l’acquisizione di competenze abilitanti all’utilizzo di strumenti avanzati e di metodi, come il design thinking, per Industria 4.0 e per il trasferimento tecnologico alle imprese.

A questi si aggiungono i fondi di cofinanziamento regionale per almeno il 30%. E vengono in aiuto anche le ingenti risorse del Pnrr, che destina oltre 19 miliardi di euro per il potenziamento dell’istruzione, in accordo con l’industria.

La riforma a cui sta lavorando il ministro Valditara va nella direzione degli ITS. Pensa alla realizzazione di veri e propri campus professionali, con una struttura 4+2 (anni), da far partire nelle filiere dove il mismatch tra domanda e offerta è più alto. Un’alternanza scuola-lavoro di qualità più elevata con un coinvolgimento maggiore dei due tutor, aziendale e scolastico, per rendere l’esperienza on the job più sicura e proficua. E poi costruire i percorsi verticali su filiere legate ai territori, integrando cosi tutti gli attori della formazione, forse anche le Università.