Inchieste

Un simbolo invocato e sempre negato

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di Federico Bosco 

Il terminal dei traghetti della Caronte & Tourist nel cuore di Messina è il luogo dove auto, pullman e camion si imbarcano per il viaggio di venti minuti che divide la Sicilia dalla terraferma italiana. Oltre ai voli aerei, costosi per le persone e limitati per le merci, i traghetti e le navi sono gli unici mezzi che permettono ai siciliani di raggiungere il resto d’Italia. Un limite geografico che insieme alla distanza dalle regioni più industrializzate contribuisce a quel senso di abbandono che affligge una regioni più povere d’Italia.

È in questo contesto che il governo di Giorgia Meloni ha scelto di riportare nel dibattito politico la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, resuscitando i progetti abbandonati anni fa per la costruzione di un ponte lungo 3,3 chilometri per unire Sicilia e Calabria. Il governo vede il ponte come la chiave per contribuire alla crescita del Mezzogiorno e rafforzare l’influenza dell’Italia nel Mediterraneo, ma il progetto è una delle proposte di opere pubbliche più complesse, costose e controverse dell’intera storia italiana.

I tentativi di superare lo Stretto di Messina risalgono all’Antica Roma, ma gli sforzi concreti per la realizzazione di un ponte iniziarono durante il boom economico del dopoguerra e nel 1970 l’obiettivo diventò una priorità nazionale. Dopo decenni di discussioni e progetti incagliati, il ponte tornò sulle prime pagine di tutti i giornali durante la campagna elettorale del 2001 quando Silvio Berlusconi promise che avrebbe ripreso i lavori e terminato il ponte entro il 2012.

Nel 2006, il governo Berlusconi assegnò il contratto da 3,9 miliardi di euro a un consorzio di costruzione a guida italiana, ma qualche mese dopo il progetto fu fermato dal governo di Romano Prodi. Nel 2008 il nuovo governo Berlusconi cercò di far ripartire l’opera, ma nel 2012 il governo tecnico di Mario Monti bloccò tutto in una maniera che all’epoca – nel mezzo della crisi dei debiti sovrani dell’Eurozona – sembrò definitiva. L’anno dopo la Stretto di Messina S.p.A., creata nel 1981 appositamente per costruire il ponte, fu messa in liquidazione, fino al Consiglio dei ministri di due settimane fa in cui è stato approvato un decreto per ricostituirla: il primo passo (necessario) per tornare a proporre di finanziare il progetto.

“Questa volta non ci fermeranno”, ha commentato Berlusconi, anche se oggi è Matteo Salvini il più strenuo sostenitore del progetto, che nel ruolo di ministro delle Infrastrutture ha promesso di iniziare i lavori entro due anni prospettando un beneficio economico di 5-6 miliardi all’anno per la sola Sicilia. “Dire che l’infrastruttura non si può fare perché c’è la mafia equivale ad arrendersi. Il ponte crea sviluppo e toglie terreno fertile alle mafie”, ha detto Salvini in uno degli incontri del suo tour siciliano per promuovere il ponte. “Dopo decenni di chiacchiere abbiamo il dovere di ultimare il tutto per rispetto ai calabresi e ai siciliani”.

Tuttavia, già nel primo passaggio istituzionale c’è stato qualche problema. Il decreto infatti è stato approvato “salvo intese”, e il testo non è stato reso disponibile poiché sono necessari “approfondimenti tecnici”.

Secondo alcuni retroscena Salvini vede nella realizzazione del ponte il premio per il Mezzogiorno in cambio del sostegno all’autonomia differenziata, ovvero il trasferimento dallo Stato alle Regioni di funzioni numerose e rilevanti da sempre caro alla Lega. Forse è per questo che Meloni ha tenuto un profilo più basso e non sembra volersi esporre granché sul progetto.

Il ministro per le politiche del mare Nello Musumeci, ex governatore della Sicilia, ha affermato che facilitare il movimento delle merci attraverso lo stretto porterebbe un rinnovato ottimismo nel Mezzogiorno.

L’obiettivo è fare del Sud una piattaforma logistica per il continente europeo.

Ancora più nette le parole del governatore della Calabria Roberto Occhiuto. “L’Europa dovrà decidere se far diventare queste due regioni un hub del Mediterraneo o perdere quest’occasione per l’ennesima volta”, ha detto Occhiuto, che insieme al governatore della Sicilia Renato Schifani vuole che il ponte venga realizzato a ogni costo. I due governatori avranno un posto nel consiglio d’amministrazione della Stretto di Messina S.p.A.

Ma in Sicilia il rilancio del progetto è fonte di un cauto ottimismo e uno stanco scetticismo. Il sindaco di Messina Federico Basile ritiene che il ponte “unificherebbe la Sicilia al continente” e darebbe “un contributo fondamentale nell’attirare investimenti e posti di lavoro”, sottolineando però che i suoi elettori temono che il progetto faccia la fine di molte opere pubbliche siciliane: bloccata a tempo indeterminato.

Nel 2010 il sociologo Aurelio Angelini, autore del libro “Il mitico ponte sullo stretto di Messina” espresse scetticismo sul reale volontà di realizzare il progetto, ritenendo il revival del ponte un atto della politica per fare appello alle regioni più povere d’Italia, un modo “per far crescere il sogno le speranze di unire economicamente, e in termini di equità, Nord e Sud”.

I più critici del progetto affermano che la pessime condizioni della rete stradale e ferroviaria interna della Sicilia limita la potenziale utilità del ponte, che consumerebbe risorse economiche che sarebbe meglio investire per treni, strade e aeroporti dell’isola. La comunità imprenditoriale siciliana al contrario è entusiasta di rimettere in carreggiata il progetto, con l’idea che il ponte stimolerà anche gli investimenti nelle altre infrastrutture siciliane, dalle autostrade alle ferrovie.

Al di là delle questioni di fattibilità tecnica,  il nodo da sciogliere è proprio questo. Il ponte sarebbe veramente utile solo se fosse l’inizio di un massiccio piano di sviluppo regionale, della Sicilia e dell’intero Mezzogiorno. Allo stesso tempo, negarne a priori la necessità significa quasi respingere in partenza la possibilità di un vero sviluppo del Sud.. Da questo punto di vista il ponte sullo Stretto di Messina è davvero uno dei grandi temi dell’Italia unita, una questione profondamente politica, prima che economica.