Inchieste

Una crisi con più colpevoli: le mire di Putin, il sonno europeo

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di Paolo Della Sala

Per capire come si è arrivati alla carestia energetica e alla strumentalizzazione del gas per fini bellici da parte di Mosca, si deve partire da lontano. La rivista di geopolitica “Limes”, in un numero del 2009 intitolato “Eu-Russia, il nostro futuro?” già prediceva tutto: dalla pestilenza del gas alla guerra in Ucraina, la Cina sostituto della Ue nell’acquisto di gas russo, il risiko delle sanzioni e delle ritorsioni con la chiusura dei metanodotti. Un simbolo del problema è la “Porta dell’inferno” un cratere provocato da tecnici sovietici in Turkmenistan, che brucia da oltre 50 anni. Gazprom ha fatto di peggio, bruciando milioni di dollari di gas ai confini con la Finlandia pur di non venderlo a chi ha cercato riparo nella Nato.

La rete di Putin

Alla fine del ciclo del petrolio, il presidente russo Vladimir Putin ha iniziato a costruire un nuovo impero energetico, con il colosso di Stato Gazprom al posto dell’Opec. Putin ha sfruttato tre assi per imporre il suo monopolio:

  • la disponibilità di tre quarti delle riserve mondiali di gas;
  • l’utilizzo dei servizi segreti per affiliare politici e industrie;
  • la manipolazione dell’opinione pubblica attraverso i social.

Nel 2006 Gazprom valeva già un terzo di tutta l’economia russa, essendo passata da un valore di 10 miliardi di dollari nel 2000 a 300 miliardi. Prodi e Bersani siglarono un accordo con Medvedev, presidente di Gazprom, per costruire il gasdotto South Stream che fu poi bloccato dalle proteste di Washington.

Gli errori dell’Europa

Il Vecchio continente nel 1989 ha deciso di passare dal “Commonwealth” statunitense al leaderismo della Germania, da secoli in bilico tra Occidente e Russia. E mentre l’ex cancelliere tedesco Schröder diventava presidente del consorzio Nord Stream (che veicola il gas russo verso l’Europa) capitanato da Gazprom, il dissidente Bukovskij gridava invano contro l’arrivo a Mosca di “orde di menscevichi europei” pronti a fare affari tettando dalle mammelle di giacimenti come Urengoy, formato da 3mila pozzi, il cui gas arriva in Austria attraverso l’Ucraina. Man mano che il monopolio russo si estendeva, gli Usa cominciavano a sfruttare lo “shale gas” con cui hanno ottenuto l’indipendenza energetica. Anche in Europa vi sarebbe abbastanza shale gas, ma girava la voce che provoca terremoti, e fu accantonato. Anche Regno Unito e Norvegia si resero autonomi con i giacimenti nel Mare del Nord. La Francia aveva il nucleare; l’Italia invece rinunciava a utilizzare il gas dell’Adriatico (100 miliardi di metri cubi di riserve, ma si parla di un totale di 300 miliardi. A inizio millennio i Paesi europei si scoprirono fortemente dipendenti dal gas russo. L’Italia si è salvata con il TAP, nonostante l’opposizione anti energia dei comitati locali.

Il sonno europeo è proseguito anche dopo l’annessione della Crimea nel 2014. Poi, il brusco risveglio con i rincari energetici del 2021 e l’invasione dell’Ucraina nel 2022. E adesso? A Piombino si discute contro un rigassificatore, ma ne servirebbero di più. Potremmo così utilizzare il Gnl del giacimento egiziano di Zhor (Eni produce il 60% dell’oil & gas in Egitto), grazie all’impianto di liquefazione di Damietta. Dobbiamo ovviare alla riduzione della fornitura di elettricità dalla Francia nei prossimi due anni (per ora smentita da Parigi), mentre l’algerina Sonatrach forse non potrà incrementare la fornitura di gas (si veda l’articolo a pagina 10).

La colpa non è solo della Russia, che pure ci ricatta e ha sigillato i tubi del gas, per non tacere sui recenti fatti di cronaca e le esplosioni sottomarine “sospette” ai gasdotti (chiusi) Nord Stream 1 e 2: l’Europa ha troppo accelerato la conversione alle rinnovabili, provocando una fuga dagli investimenti negli idrocarburi. Ora l’invasione dell’Ucraina ha imposto alla Germania il ritorno al carbone e nucleare. Non sono state poi avviate infrastrutture importanti: ad esempio il gasdotto che porterebbe il gas egiziano di Zhor e del giacimento Leviathan, posto tra Gaza, Israele, Libano e Cipro (anche se bisognerebbe darne una quota a Turchia e Hamas, per evitare guerre). Il gas del mare del Nord non può essere un’alternativa, dal momento che non è molto. Il nuovo reattore nucleare di Olkiluoto, in Finlandia, produce da solo 12Twh, più di metà di tutto il fotovoltaico installato in Italia dal 2000 a oggi, e senza riduzioni notturne.

La Ue ora in fretta dovrà varare misure per abbassare i costi del gas e tagliare i consumi, per azzerare la dipendenza da Mosca. C’è anche il problema di intervenire sulla Ttf, la Borsa olandese che fissa i listini, come nella proposta del premier uscente Draghi. L’Italia col Decreto sostegni ter ha introdotto un tetto ai ricavi dell’elettricità da sostenibili, e c’è chi invoca un cap ai prezzi finali di vendita. Ma non va dimenticato il rischio di mandare all’aria tutti i rivenditori di gas a famiglie e aziende, com’è avvenuto nel Regno Unito quando anni fa adottò il price cap: metà dei distributori nazionali andò in fallimento con buchi miliardari e milioni di famiglie senza fornitore.