Innovazione

Più che dimezzati gli investimenti in startup digitali. Ma non c’è solo la crisi

Scritto il

249 milioni di euro. A tanto ammonta la cifra investita nel corso del 2023 nelle startup italiane innovative dai Venture Capital di casa nostra. Non sono spiccioli, certo, ma rispetto al 2022 il numero indica una contrazione del 60%; nello specifico registro, significa che le nuove aziende digitali sono scese sotto la soglia delle 14mila unità (dato confermato dall’EY Venture Capital Talk tenutosi a Milano il 16 gennaio scorso).

Questo brusco calo conferma sì un certo trend europeo improntato alla flessione ma al contempo sancisce una specifica crisi del Venture Capital italiano riguardante gli investimenti nei settori del digitale, anche quelli di rilevanza strategica come il commercio elettronico, il FinTech e l’intelligenza artificiale. A livello globale, la raccolta del 2023 ha superato per il terzo anno consecutivo il miliardo di euro (1.048 milioni), una cifra rilevante che rappresenta comunque circa la metà degli investimenti fatti l’anno precedente, quando i Venture Capital italiani avevano messo sul piatto complessivamente due miliardi. Come avvenuto per le startup digitali, questo risultato conferma una contrazione sensibile sebbene in linea alle tendenze analizzate in tutto il mondo e per la maggior parte degli analisti questo significa che l’intero sistema italiano di Venture Capital si stia consolidando.

Il calo dell’anno scorso viene imputato in prima battuta all’incertezza del contesto macroeconomico e geopolitico globale, con gli investitori che si sono fatti molto più cauti specie verso gli asset giudicati particolarmente rischiosi (come appunto le giovani imprese innovative). A mettere un ulteriore carico ci ha pensato poi l’effetto dirompente della continua e incontenibile trasformazione tecnologica, i cui impatti non si riescono ancora a decifrare a fondo.

Così si spiega la diminuzione in tutta Europa degli investimenti nel capitale di rischio, crollati in media del 40% (soprattutto in Francia e Spagna, rispettivamente a -43,4% e -56%). La posizione dell’Italia in questo scenario non è certo favorevole, sia per la storica tendenza tricolore a effettuare investimenti privati molto inferiori rispetto al resto dell’Ue, sia per la bassa incidenza del Pil nei fondi destinati a ricerca e sviluppo: un modesto 1% laddove paesi come la Germania stanziano circa il 3,5% della propria “ricchezza paese”.

Dai numeri dell’anno scorso emerge con chiarezza anche l’assenza delle grandi operazioni che avevano caratterizzato invece il 2022. Secondo il rapporto I Digital Service nel Venture Capital italiano ed europeo presentato da Netcomm in collaborazione con Growth Capital, nella distribuzione dei round di investimenti nel 2023 la fa ancora da padrone il comparto “Digital” (che comprende e-commerce, Marketplace e Mobile), il più attivo ormai dal 2018. Per quanto riguarda la quota di capitali investiti gli importi più rilevanti sono stati attratti dal ramo FinTech, che ha generato ben 650 milioni di raccolta.

Gli osservatori sono però concordi nel giudicare non del tutto negativamente la contrazione degli investimenti di Venture Capital registrata l’anno passato: se è vero che da un lato il calo delle startup innovative potrebbe far suonare un allarme, dall’altro potrebbe invece significare che il settore stia raggiungendo una piena maturazione e si stia orientando per questo motivo verso investimenti più selettivi e focalizzati su innovazione ed eccellenze locali.

Una dinamica che potrebbe creare di nuovo le condizioni perché si ripropongano quegli ambiziosi mega-round visti nel 2022 che contribuirebbero così a ridare slancio agli investimenti nel nostro Paese, assieme ovviamente ad adeguate manovre politico-economiche e a un ulteriore rafforzamento degli incentivi finanziari e fiscali. I protagonisti del settore sono infatti concordi nel ritenere che uno dei principali ostacoli agli investimenti sia rappresentato dalla tradizionale discontinuità italiana delle politiche pubbliche (il vecchio adagio secondo cui ad ogni nuovo governo corrisponde la tabula rasa di ogni provvedimento adottato da quello precedente).

Da questo punto di vista, il 2024 si preannuncia come un anno di importanti riforme, tra cui la revisione dello Startup-Act, il sistema normativo rivolto alle imprese nascenti che subirà profonde modifiche, in particolare nella parte legislativa che disciplina la nascita stessa delle startup. Secondo le anticipazioni, ci sarà la possibilità di dedurre le perdite dalle tasse, fattore che dovrebbe incentivare gli investimenti del Venture Capital. Infine, i players del settore chiedono nuovi incentivi mirati anche al Corporate Venture Capital e auspicano il rafforzamento delle politiche di investimento in Ricerca e Sviluppo, categoria di spesa che si vorrebbe parificare agli investimenti nel capitale di rischio di startup e Pmi innovative.