La Settimana Internazionale

Auto elettriche cinesi: la UE pronta ai dazi sull’import

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di Lorenzo Consoli

La direzione generale per il Commercio (Dg Trade) della Commissione europea si starebbe preparando ad aprire, a partire da metà luglio, un’indagine su possibili casi di dumping o di sovvenzioni per facilitare le esportazioni verso l’Ue dei veicoli elettrici cinesi. Le indagini, nel quadro dei dispositivi di difesa commerciale dell’Ue, potrebbero condurre all’imposizione di dazi all’importazione.

Il condizionale è d’obbligo, visto che la notizia, divulgata il 15 giugno dalla testata “Politico”, è stata rivelata “off the record” da diverse fonti dell’Esecutivo comunitario, ma non confermata ufficialmente. «La Commissione europea non può commentare notizie su possibili casi di difesa commerciale; non speculiamo sulla potenziale apertura di una tale inchiesta, e non posso dare ulteriori dettagli», ha detto una portavoce della Commissione, Miriam Garcia Ferrer, rispondendo a una domanda in conferenza stampa.

Tuttavia, il commissario europeo per l’Industria e il Mercato interno, il francese Thierry Breton, ha dichiarato a Politico di essere «molto a favore dell’apertura di un’indagine anti dumping sulle auto elettriche e il più presto possibile», perché «il rapido aumento delle importazioni è diventato un problema per l’industria dell’Ue».

In un altro contesto, il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, durante un discorso l’11 maggio scorso, ha avvertito: «Non dobbiamo ripetere col mercato delle auto elettriche gli errori che abbiamo fatto con il fotovoltaico, per il quale abbiamo creato una dipendenza dall’industria cinese e fatto prosperare i suoi produttori».

Il riferimento è a quanto avvenne esattamente dieci anni fa, quando la Commissione annunciò e poi tentò di introdurre delle misure di difesa commerciale nei riguardi dei pannelli solari cinesi, che stavano invadendo il mercato europeo, approfittando anche delle condizioni favorevoli messe in campo dalle normative comunitarie a sostegno delle energie rinnovabili.

La Cina a quell’epoca non aveva ancora ottenuto il riconoscimento internazionale come economia di mercato, ma l’Europa, indebolita dalle divisioni fra i propri Stati membri e impaurita dalla prospettiva di ritorsioni commerciali cinesi contro le importazioni di auto tedesche o di vini francesi, non fece nulla. Il risultato fu la virtuale scomparsa dal mercato interno dei costruttori europei di componenti fotovoltaici, che ancora oggi sono importati per il 95% dalla Cina.

Come nel 2013 per le rinnovabili, oggi l’Unione europea sta mettendo in campo normative e finanziamenti per incentivare una transizione epocale dai motori a combustione interna ai veicoli elettrici, in vista della scadenza del 2035, quando tutte le auto di nuova immatricolazione dovranno essere a zero emissioni. Ma l’industria automotive europea, impegnata in questa transizione, rischia di perdere consistenti quote di mercato proprio in Europa, se continuerà la tendenza già evidente all’aumento delle importazioni di auto elettriche cinesi a prezzi più competitivi.

Un rapporto pubblicato dalla società assicurativa Allianz il 9 maggio scorso, («La sfida cinese per l’industria automotive europea») sottolinea il saldo primato della Cina nel campo dei veicoli elettrici a livello mondiale, con vendite che nel 2022 sono state pari al doppio di quelle di Ue e Usa messe insieme. Nello stesso anno, la bilancia commerciale del settore automotive cinese è passata da un deficit di 31 miliardi a un avanzo di 7 miliardi di dollari. «Avendo riconosciuto il potenziale dell’auto elettrica 15 anni fa, la Cina da allora ha investito ingenti risorse nella costruzione di un ecosistema di veicoli elettrici competitivo», ricorda il rapporto.

Per l’Europa, si scontrano due esigenze contraddittorie: da una parte la necessità di sviluppare (anche con l’usato) un mercato dei veicoli elettrici di fascia bassa, che oggi è praticamente assente, con il rischio che alla transizione green in questo settore partecipino solo i ceti abbienti; dall’altra, l’imperativo di tutelare il settore più importante dell’industria europea, ed evitare di ricadere anche qui in una nuova dipendenza dalla Cina (come avviene già, d’altra parte, per le materie prime e i componenti delle batterie).

La risposta che hanno dato gli Stati Uniti a questo dilemma è nota: l’Inflation Reduction Act, che finanzia a suon di miliardi di dollari la propria industria verde nazionale, a cominciare proprio dal settore auto. L’Unione europea ha proposto il suo Piano industriale per le tecnologie verdi e per le materie prime critiche, ma si tratta soprattutto di normative e iniziative politiche non accompagnate da nuovi finanziamenti comunitari. È stato deciso solo di allentare le regole degli aiuti di Stato, che però solo alcuni paesi possono permettersi.

L’intervento pubblico con massicci finanziamenti e sovvenzioni all’industria non è più una prerogativa quasi esclusiva del capitalismo di Stato cinese, soprattutto nei settori green. Se la Commissione deciderà davvero di avviare le indagini antidumping e anti sussidi sui veicoli elettrici cinesi, dovrà dimostrare che, in questa nuova realtà globale, sussistono effettivamente condizioni inoppugnabili di concorrenza sleale, prima di poter applicare eventuali dazi alle importazioni, e di rischiare una guerra commerciale con Pechino, quando ancora è lontano l’obiettivo dell’autonomia geostrategica dell’Europa.