La Settimana Internazionale

Brasile, il trumpismo e il monito all’Europa

Scritto il

a cura di Attilio Geroni

I danni provocati dal trumpismo, una minaccia esistenziale ai principi cardine delle democrazie liberali, non hanno più confini. Quella di Brasilia è stata una replica di Capitol Hill, sempre in gennaio, mese di transizione dei poteri tra vincitori e sconfitti. Solo che nel mondo distorto creato da Donald Trump e dal suo emulo brasiliano Jair Bolsonaro, forse non a caso riparato in Florida, a pochi chilometri da Disneyworld, le elezioni non si vincono o si perdono, ormai: vengono sistematicamente rubate quando non sono loro a vincerle.

Violenza, saccheggio e devastazione hanno contraddistinto, nel fine settimana scorso, l’irruzione di migliaia di persone negli edifici simbolo della democrazia brasiliana: Congresso, Palazzo presidenziale e Corte Suprema. Il tutto sotto lo sguardo anche benevolo della polizia militare, serbatoio importante per consolidare il consenso nei confronti della destra estrema e quindi dello stesso Bolsonaro durante la sua presidenza.

Il Brasile è un Paese molto importante per gli equilibri internazionali, soprattutto quelli relativi all’America Latina. Con una democrazia giovane e un’economia di grandi potenzialità, spesso inespresse, la sua stabilità può essere la stabilità di un intero continente. Quanto è accaduto è (anche) una grana in più per gli Stati Uniti che si trovano a dover gestire un ospite scomodo e ora indesiderato.

Il nuovo presidente brasiliano Luiz Ignacio Lula da Silva, insediatosi il 1° gennaio, sembra aver ripristinato l’ordine dopo aver emanato provvedimenti d’emergenza e dopo l’arresto di 1.500 persone tra coloro che avevano assalito i palazzi delle istituzioni pubbliche. Nei grandi centri del Paese si sono tenute manifestazioni imponenti a sostegno del nuovo capo di Stato e dell’ordine democratico. Ciononostante, permangono tensione e una profonda inquietudine per quanto è successo, segno che la presidenza Bolsonaro, contraddistinta da intolleranza, razzismo, odio contro le minoranze e una gestione disastrosa della pandemia, hanno avvelenato i pozzi dell’opinione pubblica brasiliana.

L’ex presidente ha condannato in maniera blanda, con parole di circostanza, le violenze del fine settimana, ma Lula ha indicato in lui il vero mandante, l’ispiratore delle violenze, così come lo era stato Donald Trump per l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021.

Anne Applebaum su The Atlantic ha parlato apertamente di una Internazionale dell’Autocrazia riferendosi ai fatti di Brasilia, facendo notare come molti dei manifestanti che hanno fatto irruzione negli edifici delle pubbliche istituzioni sventolassero bandiere e manifesti con slogan in inglese, poi ripresi con hashtag sui social media, quasi volessero parlare a un pubblico più vasto.

L’estrema destra, in Brasile come in America, fa leva sul disagio sociale e amplifica le sue idee anche attraverso legami e reti importanti di comunicazione e collaborazione, come gruppi religiosi legati principalmente alla chiesa evangelica e in particolare ai movimenti pentecostali. Questa componente religiosa, fortissima nei molti luoghi del Paese dove mancano centri e forme di aggregazione, è stata decisiva per la vittoria di Bolsonaro nel 2018 e quasi era riuscita a farlo rivincere al ballottaggio, dove Lula si è affermato per un soffio. Come Trump, esibiscono la Bibbia quale codice assoluto di condotta morale e pratica quotidiana che non contempla apertura, pluralismo e tolleranza.

L’eredità di Bolsonaro è dunque pesante e applica gli stessi schemi interpretativi del trumpismo alla vita pubblica. Le elezioni vengono rubate perché il sistema è corrotto alla base, tale da impedire non un’alternanza, ma la vittoria di chi è mosso da convinzioni forti e dogmatiche, che la cassa di risonanza dei social media amplifica a dismisura.

Che il risultato di libere e democratiche elezioni sia stato contestato con violenza in due grandi democrazie – Brasile e Stati Uniti – deve farci riflettere sulla necessità di mantenere alta la guardia anche in Europa, dove il fascino nei confronti di forze politiche di destra ultra conservatrice e spesso estrema e di cosiddette “democrazie illiberali” che minano l’esistenza dello stato di diritto è un fenomeno tutt’altro che temporaneo in alcuni Paesi.