La Settimana Internazionale

Dietro la lunga offensiva, ombre di isolamento per Israele

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di Federico Bosco

Dopo settimane di bombardamenti per preparare il terreno l’esercito israeliano è entrato nell’inferno della Striscia di Gaza, isolando e circondando l’area urbana di Gaza City, dove si annidano le milizie di Hamas.

La fase successiva, almeno da quel che appare, è l’avanzata settore per settore per neutralizzare ogni singolo miliziano. Un’operazione per forza di cose lenta, studiata, metodica, e che ciò nonostante causerà molte vittime sia tra i soldati israeliani sia tra i civili palestinesi. È per questo motivo che da tutto il mondo si levano grida per un cessate il fuoco, tregue umanitarie, e la richiesta a Israele di abbandonare il piano di eliminare la presenza di Hamas a Gaza con una lunga e sanguinosa offensiva via terra.

Difficile che accada. La guerra è appena iniziata e le Forze di difesa israeliane (Idf) non hanno ancora raggiunto nessun obiettivo: Hamas continua a controllare la Striscia di Gaza, gli ostaggi non sono stati liberati, e neanche la deterrenza è stata ristabilita visto che le milizie filo-iraniane nei paesi del Medio Oriente continuano a lanciare attacchi contro Israele e le truppe statunitensi. Da questo punto di vista il premier israeliano Benjamin Netanyahu è stato molto chiaro: non ci sarà un cessate il fuoco senza la restituzione degli ostaggi, le operazioni continueranno finché Hamas non sarà stata sconfitta. La preoccupazione degli osservatori è che assieme alle vittime del 7 ottobre e della guerra di Gaza, venga sepolta anche ogni residua speranza di pace tra israeliani e palestinesi.

Come spiega l’Economist, per comprendere la motivazione del governo israeliano bisogna capire il significato degli attacchi del 7 ottobre per lo stato ebraico. «A causa di una storia di pogrom e dell’Olocausto, Israele ha un contratto sociale unico: creare una terra dove gli ebrei sappiano che non saranno uccisi o perseguitati perché ebrei. Lo Stato onora da tempo quella promessa con una dottrina strategica che richiede deterrenza, avvertimenti tempestivi di un attacco, protezione sul fronte interno, e vittorie decisive».

Gli attentati del 7 ottobre hanno fatto a pezzi il contratto sociale di Israele, mandando in frantumi la dottrina di sicurezza che caratterizza lo stato ebraico. Adesso per gli israeliani l’unico modo per uscire dal ciclo di violenza, disperazione e terrore è distruggere Hamas, che significa eliminare i suoi alti dirigenti e smantellare le sue infrastrutture militari. Prima a Gaza, e poi inevitabilmente anche in Cisgiordania.

Gli Stati Uniti comprendono la motivazione di Israele, ma chiedono all’alleato di condividere l’obiettivo del rilancio del processo di pace. La Casa Bianca sostiene che un’Autorità nazionale palestinese (Anp) “rivitalizzata” dovrebbe riprendere il controllo di Gaza se le Idf riusciranno a rovesciare Hamas, e che i partner regionali e le agenzie internazionali potrebbero svolgere un ruolo.

Il ritorno dell’Anp a Gaza sarebbe estremamente difficile da attuare, data la debolezza dell’istituzione di autogoverno dei palestinesi. Per riuscirci è indispensabile una decisa volontà israeliana che ciò accada. Da parte sua, l’Anp ha dato la sua disponibilità a valutare un ritorno a Gaza, ma solo nel contesto di un’iniziativa diplomatica che unisce il destino della striscia alla Cisgiordania per rilanciare il processo di pace.

Qualcosa per cui gli Stati Uniti sono disposti a impegnarsi, ma che finora non sta attirando l’attenzione di Israele. Il governo Netanyahu insiste sul fatto che al momento non sta tenendo colloqui sulla sua strategia del ”giorno dopo”, e che l’obiettivo è solo ed esclusivamente l’eliminazione di Hamas. Inoltre, secondo un documento del Ministero dell’Intelligence israeliano il ripristino dell’Anp a Gaza equivarrebbe «a una vittoria per il movimento nazionale palestinese, e ciò rappresenterebbe un pericolo per Israele».

Ma se la guerra per eliminare Hamas non prevede anche un chiaro orizzonte per il futuro dei palestinesi, gli alleati di Israele – occidentali ma non solo – faranno sempre più fatica a sostenerla.