La Settimana Internazionale

Due diligence: nuovi obblighi

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a cura di Lorenzo Consoli

La direttiva sul dovere di diligenza (“due diligence”) proposta dalla Commissione Ue nel febbraio scorso, che impone una serie di vincoli su sostenibilità ambientale e rispetto dei diritti umani da parte delle grandi imprese, ha concluso il percorso negoziale fra i governi degli Stati membri, con l’adozione, il 1° dicembre, del cosiddetto “orientamento generale” da parte del Consiglio Ue.

Si tratta di un compromesso su una serie di emendamenti alla proposta originaria, che costituirà ora il mandato negoziale del Consiglio nelle ulteriori trattative con il Parlamento europeo. La posizione negoziale del Parlamento sarà decisa da un voto in plenaria a inizio 2023.

La direttiva stabilisce norme e obblighi, per le aziende che rientrano nel campo di applicazione, in merito alla sorveglianza per evitare o attenuare conseguenze negative (anche potenziali) sui diritti umani e sull’ambiente, causate dalle loro operazioni e da quelle delle loro controllate, e anche dalle attività svolte dai loro partner commerciali diretti e indiretti lungo tutta la catena del valore.

Gli obblighi da rispettare sono definiti in base a un elenco di convenzioni internazionali relative a protezione dell’ambiente e tutela dei diritti umani.

Sono previste anche sanzioni da parte delle giurisdizioni nazionali in caso di violazione degli obblighi da parte delle imprese, e norme sulla responsabilità civile nei confronti di persone o entità danneggiate da queste violazioni. Le imprese più grandi, inoltre, dovranno adottare un piano che assicuri che il loro modello di business e la loro strategia siano compatibili con l’accordo di Parigi sulla riduzione delle emissioni a effetto serra.

Il compromesso elaborato dalla presidenza di turno ceca del Consiglio Ue e dai rappresentanti  degli Stati membri comporta tre modifiche sostanziali rispetto alla proposta della Commissione: innanzitutto, è stata accettata la richiesta della Francia e di altri Paesi di escludere il settore finanziario dall’applicazione della direttiva, lasciando agli Stati che lo vorranno la possibilità di reintrodurre le norme per banche e assicurazioni nella propria legislazione nazionale.

La seconda modifica riguarda una più restrittiva definizione della “catena del valore” che le imprese avranno la responsabilità di sorvegliare con il dovere di diligenza. Questo punto può riguardare in particolare le Pmi, con cui le grandi imprese sottoposte agli obblighi della direttiva hanno rapporti consolidati. La nuova definizione è quella di “catena di attività”, e in sostanza esclude dal campo di applicazione della “due diligence” le attività dei partner commerciali a valle (“downstream”) della catena del valore (distribuzione, trasporto, stoccaggio, gestione dei rifiuti e riciclaggio), ovvero, come spiega una nota del Consiglio, “la fase di utilizzo dei prodotti dell’impresa o la fornitura di servizi”. Restano invece gli obblighi di sorveglianza da parte delle grandi imprese riguardo a tutta la loro catena del valore a monte (“upstream”) .

La terza modifica introdotta dal Consiglio Ue prevede un approccio più graduale per l’applicazione della direttiva alle diverse tipologie di imprese. Le norme si applicherebbero in primo luogo alle aziende molto grandi, con più di 1.000 dipendenti e 300 milioni di euro di fatturato netto mondiale, a tre anni dall’entrata in vigore della direttiva (a sua volta è prevista due anni dopo l’adozione formale della legislazione). L’applicazione avverrebbe poi quattro anni dopo per le Srl con più di 500 dipendenti e un fatturato netto mondiale oltre i 150 milioni, e cinque anni dopo per le imprese nei settori «a impatto elevato» con oltre 250 dipendenti e un fatturato netto a partire da 40 milioni.

I settori definiti “a impatto elevato” sono in particolare: tessile, abbigliamento, cuoio e calzature; agricoltura, foreste, animali vivi, legname, pesca e acquacoltura; alimentare e bevande; estrazione di minerali (incluse le fonti energetiche), manifattura di metalli, commercio di materie prime e di minerali di base e intermediari.

La “due diligence” dovrà essere rispettata anche dalle imprese di Paesi terzi con soglie del fatturato generato nell’Ue in linea con quelle applicate alle aziende europee e con gli stessi tempi, secondo le dimensioni delle aziende, per l’entrata in applicazione delle norme. Per garantire l’applicazione della direttiva, ogni Stato membro dovrà designare un’autorità amministrativa nazionale responsabile, che potrà imporre sanzioni “efficaci, proporzionate e dissuasive” in caso di inosservanza degli obblighi.